di Marta Dore
La figura del tassista in Italia non gode di grande popolarità. Difficile immaginare di scambiare parole che vadano oltre a commenti sul tempo o sul traffico con chi ci porta da un punto all’altro della città e di cui vediamo per altro quasi solo la nuca. Anche perché spesso, va detto, siamo noi per primi che ci immergiamo dentro ai nostri telefoni, e tanti saluti alla conversazione con chi guida la macchina.
Clarke, il tassista che raccoglie la giovane donna all’aeroporto JFK di New York, lo fa notare alla ragazza: si stupisce perché lei non sembra interessata al suo cellulare. Ma si sbaglia.
Fatto sta che Girlie (Dakota Johnson), la bionda e bella cliente, e il tassista sessantenne (Sean Penn) iniziano presto a chiacchierare. Lui, soprattutto, la intrattiene con commenti sulle mance basse, sulla prospettiva di essere sostituito da un pilota automatico, sui clienti che stanno al telefono – appunto. È un po’ spaccone e un po’ sbruffone, ma simpatico; e la ragazza, esperta informatica, gli dà retta, risponde alle domande di lui e a sua volta gliene rivolge. L’auto corre sulla strada verso Manhattan, ma a un certo punto un ingorgo li blocca, costringendoli a trascorrere insieme molto più tempo del previsto. Mentre lei, con il cellulare, riceve e a tratti invia messaggi appassionati al limite del trash, la conversazione tra i due protagonisti diventa sempre più profonda e intima, trasformandosi quasi in una seduta psicoanalitica per entrambi, al punto che arrivano a confessarsi segreti mai rivelati a nessun’altra persona. I loro sguardi si incrociano quasi solo attraverso lo specchietto retrovisore, ma sono intensi e a volte commossi.
Fuori dall’abitacolo, a illuminare il buio della notte ci sono le luci delle altre auto, delle insegne, delle pubblicità, della segnaletica stradale.
Una notte a New York è un film che sembra una pièce teatrale per via dell’unita di luogo, l’abitacolo del taxi; e in effetti il testo era stato scritto per il teatro. I personaggi sono solo due e interagiscono separati dal vetro che divide i posti davanti da quelli dietro. Eppure, man mano che passa il tempo, i due si fanno sempre più vicini.
La regista è la sceneggiatrice Christy Hall, per la prima volta alla regia. A rendere credibile una situazione sulla carta incredibile (alzi la mano chi ha raccontato i suoi più intimi segreti a un tassista) sono da una parte la scrittura – i dialoghi sono avvincenti, a volte teneri, a volte spiazzanti – dall’altra le ottime interpretazioni dei due attori: Sean Penn, invecchiato e delicato, è sempre bravissimo, sia quando provoca sia quando commuove e si commuove; Dakota Johnson è intensa e ha un viso magnetico.
Christy Hall costruisce un film sull’importanza del rapporto umano, dell’incontro tra le persone, ma pare divertirsi anche a giocare con gli stereotipi, non solo cinematografici, facendoci a volte temere l’irruzione di una qualche violenza: invece, anche nei momenti in cui ci si potrebbe aspettare il peggio, quello che vediamo sullo schermo è la meraviglia che può accadere quando si è disponibili all’ascolto dell’altro, quando la fiducia vince sul giudizio. Restiamo umani, sembra dire la regista. E ci convince.






