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RAFFAELLO BALDINI

9 Maggio 2016
2.548 Views
a cura di Miki Solbiati  

 

“Ci sono poesie che ti portano in luoghi dove le parole non arrivano, e neanche i pensieri, ti portano dritte all’essenza stessa, la vita si ferma per lo spazio di un istante e diventa bella, limpida di rimpianti e di felicità. Poesie che ti cambiano la giornata la notte, la vita…”

Jon Kalman Stefansson

Questa la sensazione provata leggendo le poesie di Raffello Baldini.
Lo scenario è quello di Santarcangelo, ma può essere quello della città o del paese di ciascuno di noi.
Leggendo Baldini sentiamo dentro di noi uno scorrere di pensieri e dubbi, l’anima si riempie, ci si ferma a riflettere e in noi sentiamo sorgere quelle domande. E’ come se per un attimo noi lettori diventassimo i personaggi.

I protagonisti sono, essi stessi, l’autore e siamo noi.
Il teatro è la loro, la sua, la nostra esistenza.

Le sue poesie, come un canzoniere ci parlano di un paese e della sua gente. Si tratta appunto di Santarcangelo di Romagna, dove Raffaello Baldini è nato nel 1924.

Nel 1955 si trasferisce a Milano, dove ha trascorso tutta la sua vita lavorando come giornalista a Panorama.
Baldini è stato anche scrittore, poeta e drammaturgo, come nel caso del testo teatrale “La fondazione”.
Se n’ è andato lasciandoci in eredità uno dei testamenti più belli della poesia italiana contemporanea.

Baldini scriveva le sue poesie in dialetto romagnolo. Scriveva storie su gente comune, di paese.
C’è una storia in ognuna delle sue poesie. I suoi sono versi narrativi, sono racconti di gente oppure gente che racconta delle cose.

Il paese, come Baldini ci suggerisce, conteneva una cosa fondamentale, che era il vicinato. Adesso accade meno, perché le strade sono invase da automobili, ma un tempo si poteva stare seduti sul portone di casa, con le altre famiglie, insieme, a chiacchierare, a raccontarsi cose. Questo era il vicinato, e per dirla come Cesare Pavese: “Il paese è non essere mai soli”.

Baldini sembra entrare nell’anima profonda del suo paese: la memoria, la paura, il chiacchiericcio interiore. Leggendo le sue storie ci sembra di essere condotti in un mondo oggettivo, riconoscibile, gremito di personaggi, le cui storie s’intersecano e ci conducono una nell’altra. E’ come se si entrasse nel contraddittorio e intrinseco animo dell’uomo. Non si sa mai dove comincia la storia di un personaggio e quella del suo autore, quanto davvero siano oggettivi quello scenario e quel fluire di pensieri a tratti così profondi. In molte poesie, quali ad esempio “I nottal”, i pipistrelli, traspare quasi un leggero timore di vivere, la paura nel prendere delle decisioni, le incertezze, la disperata solitudine del protagonista, l’angoscia, l’incomunicabilità del linguaggio, il desiderio di farsi amare. Tutti sentimenti così estremamente veri e sinceri, regalati in modo altrettanto sincero, genuino, colto e sottile dall’autore. Ci si sente estremamente coinvolti leggendo, sono le paure di ognuno di noi, le incertezze, la solitudine, appartengono a noi, uomini contemporanei, così forti e così tremendamente fragili.

Baldini ci insegna a guardarci dentro e a svelarci con dolcezza.

 

 

 

Cut

A zughé a cut bsògna avài òc, ès féurb.
Mè a cnòss di póst, di béus ch’a i so sno mè. Stavólta a m so masè tramèza agli asi
de magazéin de lègn ad Bigudòun.
A i sint ch’i zcòrr, ch’i cèma,
a sbarlòc dal fiséuri, a i vèggh ch’i zéira,
ch’i s’inségna se daid dò ch’i à d’andé.
Mè aspétt aquè, a n mu n móv, a téngh e’ fiè. Adès u m pèr ch’i s séa un pó sluntanè,
mè a stagh sémpra masèd, l’è bèla un’òura,
a m’inféil t’un budèl piò strètt, acsè,
fra do cadasi, a i ví fè dvantè mat.
Mo dò ch’i è? a n’i sint piò,
i n capéss mégga gnént, i va purséa.
E’ sarà piò ’d do òuri ch’a so què,
l’è da òz dopmezdè, u s fa nòta, e lòu,
puràz, i zirca sémpra, mo i n mu n tróva,
e a i ví vdai a truvèm dréinta sté béus.
E’ pò ès ènca ch’i apa pérs la vòia,
che e’ zugh u s séa smanè, ch’i séa ’ndè chèsa. Pézz par lòu, mè a stagh bón tra tótt’ stagli asi, aquè sòtta u n mu n tróva piò niseun.

Nascondino. Per giocare a nascondino bisogna avere occhio, es- sere furbi. | Io conosco dei posti, dei buchi, che so solo io. | Sta- volta mi sono nascosto fra le assi | del magazzino del legno di Bi- gudòun. | Li sento che parlano, che chiamano, | sbircio dalle fes- sure, li vedo che girano, | che si indicano col dito dove devono an- dare. | Io aspetto qui, non mi muovo, trattengo il fiato. | Adesso mi pare che si siano un po’ allontanati, | io sto sempre nascosto, è or- mai un’ora, | m’infilo in un budello più stretto, così, | fra due cata- ste, li voglio far diventare matti. | Ma dove sono? non li sento più, | non capiscono mica niente, vanno purchessia. | Saranno più di due ore che sono qui, | è da oggi pomeriggio, si fa notte, e loro, | poveracci, cercano sempre, ma non mi trovano, | e li voglio vede- re a trovarmi in questo buco. | Può darsi anche che abbiano perso la voglia, | che il gioco si sia smagliato, che siano andati a casa. | Peggio per loro, io sto buono fra tutte queste assi, | qui sotto non mi trova più nessuno.

Bibliografia:

Raffaello Baldini, La Fondazione. Testo romagnolo a fronte., Torino, Einaudi , 2008

Raffaello Baldini, La nàiva Furistír Ciacri, Torino, Einaudi editore 2000

Raffaello Baldini, Intercity, Torino, Einaudi editore, 2003

 

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