di Marta Dore
‘Era una brava persona e amava la bellezza’.
È questo l’epitaffio che Brunello Cucinelli, stilista e imprenditore nel campo della moda, vorrebbe fosse scritto sulla sua tomba quando sarà il momento. Scrivere il proprio epitaffio è un gesto coraggioso (in Italia poi, scaramantici come siamo), che può assumere colori diversi: autoironici, sarcastici, amari, celebrativi, a volte vendicativi.

C’è un libro molto carino di Eugenio Alberti Schatz, si intitola Meglio qui che in riunione, e raccoglie 250 auto-epitaffi di persone note e non. Non so se Cucinelli lo ha letto, ma di sicuro con il film Brunello il visionario garbato, l’imprenditore umbro non ha solo scritto il suo auto-epitaffio, ha proprio voluto raccontare la sua storia di imprenditore nato contadino; una storia edificante, certo, perché celebra un percorso di successo personale da self made man all’americana, ma soprattutto una storia manifesto di quello che lui chiama Capitalismo umanistico, per cui non ci può essere vera ricchezza se non condivisa con la comunità, se non rispetta a ogni passo valori quali dignità, bellezza e giustizia sociale.

Alla regia di questo film-documentario Cucinelli ha voluto Giuseppe Tornatore e per le musiche ha chiamato Nicola Piovani, per far cantare il lato emotivo delle vicende narrate: due premi Oscar, a dimostrazione, ancora una volta, che l’imprenditore umanista, cultore della filosofia, sa pensare solo in grande.

Brunello il visionario garbato non è un documentario, non è un film, non è uno spot pubblicitario, ma una fusione di generi. L’idea è raccontare la vita dell’imprenditore Cucinelli in un intreccio di linguaggi: da un lato il documentario classico, dall’altro la messa in scena cinematografica di un film. Quando si racconta il passato del protagonista, Cucinelli entra in scena con il suo corpo, è proprio dentro l’inquadratura: assiste ai pranzi dove lui bambino, i suoi fratelli, i genitori, i nonni, gli zii, i cugini (tutti interpretati da attori) mangiavano insieme alla stessa grande tavola. E lo stesso succede per la giovinezza. Il Brunello settantenne di oggi guarda con simpatia e dolcezza il Brunello ragazzo mezzo scapestrato che passava le sue giornate al bar a giocare a carte con gli amici. Presente e passato sono compresenti sullo schermo. E il Brunello di oggi, spiega, racconta, commenta. I piani narrativi si sovrappongono e si contaminano, in una ricerca sperimentale audace e spensierata.

Tutto è inframmezzato da documenti di archivio e interviste alla moglie, alle figlie, ai suoi collaboratori, a parenti e amici di infanzia, alle star che lo hanno conosciuto e così via, in un susseguirsi di testimonianze entusiastiche e commoventi. Perché è vero che Cucinelli ha condiviso il suo successo e i suoi guadagni con la comunità: ha ristrutturato un borgo intero, Solomeo, trasformandolo nel simbolo del Capitalismo umanistico; ha fondato la “Scuola di Alto Artigianato Contemporaneo per le Arti e i Mestieri di Solomeo”; ha realizzato tre immensi parchi aperti a tutti nella valle ai piedi di Solomeo recuperando parte del terreno già occupato da vecchi opifici in disuso a favore di alberi, frutteti e prati; nel centro di Solomeo ha creato il Foro delle Arti un luogo deputato ad attività culturali e artistiche con un teatro, un anfiteatro, due biblioteche…

‘Quella mirabilmente narrata nel film documentario è in fondo una storia di perseveranza e di passione, per cui sento di volerla dedicare a tutti i giovani affinché coltivino sempre il proprio sogno di bellezza, senza alcuna paura, perché è proprio dai sogni che nasce la vera crescita spirituale dell’essere umano’, ha detto Cucinelli. Parole che alleviano l’angoscia che si prova davanti al modello di capitalismo, feroce, vorace e disumanizzato, che si sta imponendo in questo momento storico.








