di Noemi Stucchi
Dopo il successo televisivo e letterario di “Parole per noi due” e “Siamo tutti bravi con i fidanzati degli altri”, Tommaso Zorzi torna con Divina! (Mondadori, maggio 2025).
È un’opera in bilico tra racconto, omaggio celebrativo e riflessione esistenziale. Al centro di tutto c’è lei: Luisa Casati Stampa, marchesa, musa, mecenate, performer ante litteram e personificazione vivente del motto “la vita come opera d’arte”.
Zorzi non si cimenta nel consueto romanzo biografico: “Divina!” è piuttosto un’evocazione soggettiva, un dialogo ideale tra l’autore e la sua ossessione – La Marchesa Luisa Casati Stampa – raccontata non attraverso una narrazione lineare, ma con un andamento simile a un flusso di coscienza. C’è Zorzi che parla per sé e, a tratti, parla come se fosse lei. La interpreta, la re-immagina, la imita. Il suo racconto è filtrato da una lente estetizzante e dichiaratamente snobistica, ma anche ironica, autoironica e spudoratamente affascinata dal kitsch e dal barocco esistenziale.
Nel suo tentativo di dare corpo e voce alla Casati, Zorzi la trasforma in un alter ego narrativo: la “Divina!” per eccellenza, antesignana dell’influencer contemporanea. Una donna che ha fatto della propria immagine un culto, una reliquia vivente, fissata nei quadri, nelle fotografie, nelle descrizioni degli altri.
A volte mi sembra di imprimere con gioia la mia immagine nell’aria, e che tutte queste immagini impresse potranno restare lì per sempre, rendendomi eterna (p. 32)
Un’ossessione che – come ci rivela Zorzi nelle prime pagine del libro, conversando con Luca – nasce dal bisogno personale di una riflessione profonda su una figura che ha trasformato l’esistenza in estetica pura. Una vita di insoddisfazioni, tramutata in arte dello spettacolo. La ricchissima femme fatale della Bella Epoque che morirà in disgrazia pur di aver fatto di se stessa un’opera d’arte vivente.
Chi non conoscesse la Marchesa Casati potrebbe iniziare dalla sua pagina Wikipedia – ed effettivamente basterebbe: vestiva serpenti vivi come collane, organizzava feste con ghepardi al guinzaglio e fu ritratta da Boldini, Man Ray e Van Dongen.
Tutto infatti parte da qui: con una visita al museo, dalla visione del quadro che la ritrae. Ed eccola lì, davanti agli occhi dell’autore, più viva che mai.
Il romanzo è un esercizio di stile e immaginazione, un ritratto su carta che interroga la possibilità di immortalità attraverso l’immagine, tema quanto mai attuale.
Può un ritratto – pittorico o letterario – renderci eterni? Può la narrazione salvare dall’oblio?
Zorzi non pretende di scrivere per tutti. E lo sa.
Il tono di Divina! è dichiaratamente rivolto a un pubblico affine, definito dallo stesso autore come una sorta di élite frociarola: una nicchia glamour, colta, frivola e spregiudicata. Chi cerca un libro “normale”, lineare, realistico o didascalico resterà spiazzato. Chi invece è in cerca di un trash snobistico carico di riferimenti colti, eccentricità stilistiche, riflessioni sull’arte e sul ruolo dell’immagine nella nostra epoca troverà in queste pagine una piccola perla brillante, esagerata e volutamente effimera.
“Divina!” non ha nessuna pretesa se non quella di essere un pretesto per mettere a confronto esistenza e performance, effimero ed eternità. Un libro volutamente “inutile” come lo è l’arte stessa, nel senso migliore del termine: è il desiderio di diventare iconici. Anche solo per un attimo, come una festa del mercoledì sera a tema “Colazione da Tiffany”.







