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città di pianura

Le città di pianura

di Marta Dore

C’è un piccolo film italiano, anzi veneto, che in queste settimane sta conquistando a sorpresa molte attenzioni di pubblico e critica, e che sta anche registrando incassi inaspettati.

Le città di pianura è un piccolo film veneto perché il regista Francesco Sossai, al suo secondo lungometraggio, è nato nel Bellunese; perché i personaggi sono profondamente veneti; e perché la vicenda, ambientata tra Venezia e dintorni, è anch’essa una storia che più veneta di così non si può, se non altro per il paesaggio e per la centralità che ha il vino, e l’alcol in generale, nel vissuto dei protagonisti.

le città di pianura

Uscito al cinema il 25 settembre solo in 16 sale tra Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia, ha avuto ottimi incassi la prima settimana. Gli incassi sono poi aumentati molto quando è iniziata la distribuzione nazionale: sulla scia del successo ottenuto, sempre più sale hanno richiesto la pellicola e al momento è distribuito in quasi tutte le regioni di Italia, sud compreso (Campania, Puglia, Sicilia).

I protagonisti del film sono due scalcagnati cinquantenni, Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla), che hanno un’ossessione: andare a bere l’ultimo bicchiere. Un ultimo bicchiere che, di fatto, non sarà mai l’ultimo. Iniziano così uno strampalato viaggio notturno tra la provincia di Treviso, Venezia e Venezia stessa, alla ricerca di autogrill, bar, bacari aperti la notte dove poter soddisfare il loro desiderio di bere. In questo andirivieni incontrano Giulio (Filippo Scotti), uno studente di architettura allo Iuav, timido e riservato, di origine napoletana, che – all’inizio recalcitrante – si unisce a loro in questa scorribanda alcolica.

le città di pianura
I tre attraversano un territorio decadente e decaduto: una volta esclusivamente rurale e oggi devastato dall’industrializzazione, che ha trasformato la campagna in un paesaggio che non è più contadino, ma non è nemmeno città. Un ibrido dove pesa lo smarrimento che nasce dalla perdita delle radici culturali. Carlobianchi e Doriano sono lo specchio umano di questa trasformazione: uomini della generazione nata negli anni Settanta, in un contesto di estremo sviluppo economico, che dopo la crisi del 2008 si è ritrovata a fare i conti con un mondo radicalmente diverso, dove è venuto meno il proprio ruolo, con famiglie sfasciate e senza più lavoro. A tenerli in piedi resta un’amicizia fortissima e tenera, che riesce a coinvolgere anche Giulio, su cui i due proiettano in qualche modo quello che rimane della loro voglia di sperare ancora, di poter ancora ottenere ciò che si desidera. Lui, giovane, può ancora costruirsi la vita che vuole, in campo affettivo e anche rispetto alla sua passione, l’architettura.

le città di pianura

I tre temi fondamentali del film sono infatti l’alcol, l’amicizia e l’architettura appunto. Il primo rappresenta la resa dei due cinquantenni; la seconda è ciò a cui si aggrappano per dare ancora senso alla loro esistenza; e la terza è da una parte la smodata passione di Giulio, che adora il lavoro di Carlo Scarpa a cominciare dalla Tomba Brion dove infatti lo studente porterà i suoi due nuovi amici, dall’altra la cifra sostanziale delle inquadrature del film, spesso alla ricerca di una geometria dove incastonare le figure umane.

le città di pianura

Le interpretazioni dei tre attori (in realtà Pierpaolo Capovilla è un musicista e questo è il suo primo film) sono strabilianti e commoventi. Con una cinepresa che spesso sta loro molto molto addosso, trasformano i loro stessi visi in un paesaggio carnale ed emotivo. A fare loro da contorno, ci sono tanti personaggi, facce vere e ricche di umanità, quindi difettose e sbilenche, quali non siamo quasi più abituati a vedere al cinema.

Quello di Francesco Sossai è un lavoro profondamente poetico, malinconico, dove non succede quasi niente, e che risuona in chi abita e conosce il Triveneto, e in generale il nord Italia. Ma anche chi non appartiene a questi luoghi può amare questo film se si lascia attraversare dal racconto picaresco di un’umanità in crisi, senza più punti di riferimento, ma ancora capace di aprirsi agli altri, e di sperare.

 

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