di Noemi Stucchi
Pensate di entrare nel carcere di Opera e vedere un accumulo di barche su una distesa d’erba.
Non c’è più il mare, adesso c’è un prato.
Ad accogliermi alla Fondazione Ambrosianeum in Via delle Ore 3 c’è Margherita Lazzati,
fotografa della mostra “Il porto che non c’è” curata dalla Galleria l’Affiche.
Dal 2011 frequenta l’Istituto Penitenziario di Opera come volontaria nel laboratorio di lettura e scrittura creativa.
Dal 2015 è autorizzata dall’allora Direttore Dottor Giacinto Siciliano a fotografare e ha realizzato diversi progetti, trasformati in esposizioni sempre a cura della Galleria l’Affiche.
Ha fotografato queste barche il 29 marzo del 2023 in un’ora di lavoro e mi ha donato il suo racconto prezioso.
Se dovessi descrivere l’incontro con Margherita Lazzati, la cosa che mi è rimasta di più è la curiosità, il senso pratico e l’entusiasmo nel voler trasmettere una testimonianza.
Non è un caso che il testo di questa mostra scritto da Jean Blanchaert si intitoli “Vedere e narrare, vedere è narrare”.
Varcando i cancelli del carcere di Opera si attraversa il Cortile del Silenzio, un luogo dal tempo sospeso che precede l’ingresso.
Sarebbe bastato fermarsi qui per vedere qualche relitto svuotato come un fossile dei nostri tempi.
Sono le barche dei migranti, quelle di Lampedusa, che vengono portate fino a Milano.
Perché?
Dietro c’è un progetto bellissimo che si chiama Metamorfosi a cura della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti grazie a un’idea del Presidente Arnoldo Mosca Mondadori.
Il legno verniciato delle barche, anziché essere smaltito nelle discariche, viene riutilizzato dalle persone detenute che aderiscono a laboratori di liuteria e falegnameria per realizzare strumenti musicali come violini, viole, violoncelli e contrabbassi.
Questo legno torna ad avere una voce con l’Orchestra del mare, e dal pianto la restituzione è così quella di un canto.
La curiosità di Margherita Lazzati è di voler vedere tutte queste barche.
Sono dietro, in una rimessa, una vicino all’altra. Un luogo che non è visibile neanche da tutte le persone recluse, ma solo dalle celle che si affacciano su questa vista.
Il permesso è di entrare per un’ora con la sua laica digitale e di fotografare con l’autorizzazione del Direttore Dottor Silvio Di Gregorio.
Dietro a questa domanda si apre un nuovo scenario, un altro mondo.
Nel cortile c’è una foto che ritrae uno scheletro di una barca, pulita e ridotta all’osso; potrebbe sembrare la lisca della balena di Pinocchio, ma l’immaginario si spinge fino a Moby Dick.
La realtà supera l’immaginazione quando, al di là della rimessa, si apre una distesa di barche, una vicino all’altra.
Come un cimitero degli elefanti, i resti sono tutti là, che aspettano l’evolversi del tempo.
Le domande sono pratiche, concrete e visibili.
Come sono fatte queste barche? Sono molto piccole.
Sono alte come un persona, compreso lo scafo che, fuori dall’acqua, mostra l’instabilità del guscio. Appoggiate sull’erba, si inclinano su un lato.
Queste barche hanno ancora gli oggetti nella stiva, piene di poche cose che appartenevano alle persone che quel mare l’hanno attraversato e non sappiamo quante non sono mai approdate.
Leggo la presentazione di Jean Blanchaert e scopro che le foto, in totale, sono centosette.
La scelta di Margherita Lazzati non è quella di presentare solo dieci foto per uno spazio espositivo decagonale come quello della Fondazione Ambrosianeum.
Come avrebbe potuto sceglierne solo dieci? Come fossero dei frame di un docufilm, un pannello ne raccoglie ottanta in piccolo formato con la volontà di non voler escludere nessuna storia.
Non si poteva fare un’ulteriore selezione sull’oblio di una storia collettiva.
Dal basso verso l’alto, con uno scatto Margherita Lazzati è riuscita a mettere a fuoco l’instabilità dell’imbarcazione.
La barca è schiacciata sotto la pienezza di un cielo che sta lì, in alto e distante con tutto il suo peso.
In altre foto lo stesso cielo assume uno sguardo diverso e diventa l’unico appiglio di speranza paragonato alle pareti grigie del carcere che circondano un cortile chiuso e senza aria.
Unico acceso di respiro.
Al termine del percorso c’è un quaderno per le firme dei visitatori.
La sorpresa è di trovare pensieri, riflessioni e disegni di bambini.
Questo è il mio, per ricambiare il dono ricevuto da Margherita Lazzati con la sua storia e che voglio restituire a chi avrà il piacere di leggerlo.
Grazie
Crediti Fotografici:
Fotografie di Margherita Lazzati
Casa di Reclusione di Milano-Opera, 2023
Esposte alla mostra “Il porto che non c’è” – Fondazione Ambrosianeum, 2024
Courtesy Galleria l’Affiche, Milano
Con il contributo di:
LCA Studio Legale
Fondazione Alberto e Franca Riva
FCF Photo & Video
Patrocinio Culturale Sesta Opera San Fedele
Rimandi:
Fondazione Ambrosianeum
https://ambrosianeum.org/
Galleria l’Affiche Milano
https://www.affiche.it/
Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti:
https://www.casaspiritoarti.it/it/