di Marta Dore
Il 17 novembre Tom Cruise ha ricevuto l’Oscar alla carriera per i suoi 45 anni di onorato e soprattutto spericolato lavoro di attore. Era ora che fosse attribuita anche a lui la statuetta d’oro più ambita nel mondo cinematografico, anche perché l’aveva mancata tre volte: tante sono state le sue nomination all’Oscar come migliore attore protagonista (per Nato il 4 Luglio di Oliver Stone, e Jerry Maguire di Cameron Crowe) e non protagonista (per Magnolia di Paul Thomas Anderson).
Hollywood, insomma, gli doveva almeno una targa, una medaglia e un bonus per i chilometri percorsi di corsa, a piedi o a testa in giù, sui tetti o sopra le ali di svariati aerei, per essersi lanciato da spaventevoli dirupi, o con un paracadute in fiamme, o in moto a volo d’uccello. E per aver recitato, certo.

La cerimonia è stata un trionfo. Presentato dal regista Alejandro González Iñárritu (che lo ha diretto nel suo prossimo film, in uscita nell’autunno 2026), Cruise è salito sul palco visibilmente emozionato, con il suo sorriso da “tranquilli, lo faccio io”. Lontano dalle acrobazie spericolate a cui ci ha abituati, l’attore ha fatto un discorso appassionato e ha sottolineato come un film sia sempre un’opera collettiva e il cinema un’esperienza unica di condivisione di emozioni e magia. Ha infine chiuso con queste parole: “Fare film non è quello che faccio, è quello che sono”. Affermazione tanto più credibile per uno che non ha mai voluto una controfigura, nemmeno per le scene più pericolose, all’insegna di una totale immersione nel personaggio, anche se non nel senso che intendeva Konstantin Stanislavskij, l’ideatore del metodo di recitazione adottato all’ Actors Studio, dove sono passati tutti i più grandi, da Marlon Brando a Paul Newman, da Sean Penn a Brad Pitt.
L’Academy ha ricordato i contributi di Cruise al cinema e quando hanno mostrato il montaggio celebrativo, il pubblico ha rivissuto i suoi momenti migliori: Tom appeso a un aereo decollato, Tom che guida moto come fossero tricicli, Tom che sfida la gravità e, dal nostro punto di vista, anche un po’ il buon senso.
Ma sarebbe sbagliato ridurre la cifra specifica di Tom Cruise solo alla sua audacia e spericolatezza. Cruise ha dimostrato di essere un attore versatile. Oltre a essere stato l’agente segreto dalle missioni impossibili, ha impersonato con intensità ruoli ben più complessi dal punto di vista psicologico: dall’uomo d’affare egoista che si trasforma attraverso la relazione con il fratello autistico (Rain Man di Oliver Stone), al killer professionista elegante e silenzioso (Collateral di Michael Mann), dal guru motivazionale e misogino (Magnolia di Paul Thomas Anderson), al medico newyorkese di successo, ermetico e inquietante, la cui vita coniugale entra in crisi dopo la confessione di una fantasia da parte della moglie (Eyes wide shut, di Stanley Kubrick).
Iñárritu, nel suo discorso di presentazione, ha sottolineato che il valore della recitazione di Cruise non sta solo nel suo coraggio o nella sua forza, anche se queste sono caratteristiche fondamentali per un attore di action movie. “Tom rischia la vita in ogni ripresa affinché noi spettatori possiamo a nostra volta provare di nuovo qualcosa di forte”, ha detto il regista messicano. La grandezza di Cruise sta però nella precisione millimetrica che è in grado di introdurre nei suoi gesti, nei movimenti di ogni minima parte del suo corpo. Precisione millimetrica che è alla base anche della sua capacità di restituire la complessità psicologica dei suoi personaggi. ‘Sul suo volto risiede il linguaggio delle emozioni’, ha detto Iñárritu. L’Oscar alla carriera era il minimo sindacale.













