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I Diari di Andy Warhol

20 Marzo 2022
840 Views
di Ludovico Riviera

Un salto nella ruggente NY e nell’intimo dell’artista più rappresentativo del mito americano.
I diari di Andy Warhol è una miniserie Netflix basata sulla quotidianità dell’artista, trasposta in una sorta di diario da delle conversazioni telefoniche che l’artista ebbe, pressoché quotidianamente, con la scrittrice Pat Hackett, una sorta di collaboratrice dell’artista che organizzò le sue memorie registrate, le quali vennero poi pubblicate due anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1987.

Il risultato ottenuto da questa serie (e immagino anche dal libro da cui sono tratte, come quasi tutto ciò che produsse il mida Warhol) è di scontata quanto avvincente efficacia.
Premettendo che, occupandomi d’arte, sono abbastanza pignolo per quanto riguarda qualsiasi prodotto ad essa inerente, il fatto che la serie non mi abbia dato troppo fastidio è un’ottima cosa.

Di arte vera e propria, come quella di cui si occupava Warhol – un tempo avrei avuto da ridire anche su questo ma, oramai, che egli sia sempre stato artista, almeno secondo i canoni dell’atlantismo culturale novecentesco, lo si sa da tempo ed è fatto incontestabile – si parla poco: la serie è più una raccolta di testimonianze di amici, conoscenti e collaboratori, inframezzate da frasi dell’artista talvolta recitate dalla sua voce ricreata al computer.
La produzione warholiana, che in fondo è ciò che lo condusse nell’olimpo, appare (forse giustamente?) come un mero epifenomeno del contesto culturale che il suo genio contribuì a influenzare. In compenso, di tutto il resto si parla molto: della sua carriera, del suo successo, del suo timido istrionismo, della sua sessualità, delle persone di cui si circondava e come passava il tempo; di come viveva insomma e, essendo un diario, soprattutto dei suoi dilemmi interiori che, credetemi, sono moltissimi.

Comprensibile: la storia di Warhol è un po’ la storia degli Stati Uniti, e perciò è storia travagliata.
Figlio di immigrati cecoslovacchi, di cultura ortodossa, il giovane Andy cresce in un ambiente sostanzialmente ostile alle sue pulsioni omosessuali (che per questo rimangono a lungo ‘closeted’, solo in seguito espresse anche artisticamente in maniera spesso voyeristica) tanto quanto alle sue inclinazioni artistiche, che rivendicherà solo trasferendosi nella liberale NY dopo gli studi.
La carriera come grafico pubblicitario decolla facilmente, tant’è che Andy si ritrova immerso fino al collo in un ambiente alquanto promiscuo, e poco a poco inizia ad esporre le sue grafiche come pezzi d’arte, e da quel momento entrerà nella storia.

Eppure non si perde tanto tempo quanto si potrebbe ad analizzare l’impatto dell’arte di Warhol nel mondo, ed è un peccato: in quanto artista celeberrimo, si dicono anche molte cose a sproposito nei suoi confronti. Una serie del genere poteva essere occasione di fare anche della buona divulgazione sul tema. Ma, essendo tratta da un diario, risulta per forza di cose impregnata di un narcisismo gratuito, perché fondamentalmente privato – strano a dirsi, ma Andy Warhol aveva una nozione di vita privata molto più seria di quella che possiamo sperare di avere noi oggi – previa pubblicazione.
I diari vennero registrati a partire dalla sua degenza in ospedale a seguito di un tentato omicidio: da quel momento l’artista iniziò a tenere traccia di cosa facesse, quasi per sfogare la paranoia che, assieme a lui, sopravvisse all’attentato. Rimpiango la mancata attenzione all’arte perché, nonostante la matrice da cui viene tratta, la serie Netflix è piena anche di altre cose: fra i commenti, uno spaccato di ciò che ha contribuito a creare il mito dell’America tra gli anni ‘60 e ‘70 (in questo la serie è validissima: percepisci il divertimento di quelle persone che avevano l’impressione di essere sul tetto del mondo) ben fatto, accattivante; composto da una miniera di immagini di repertorio, filmati, racconti.

Consiglio The Andy Warhol Diaries su Netflix non per conoscere l’artista, quanto le fragilità della persona dietro il mito inscalfibile, la sua comunione, e l’idiosincrasia col mito economico, produttivo e libertino dell’ombelico della terra di quegli anni: un tuffo nella storia recente, e nell’intimo di una persona capace di trasformare la propria fragilità in forza ineluttabile.

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