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Everything, Everywhere, All at Once. Le chance del multiverso.

28 Febbraio 2023
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di Silvia Simonetti

Il pubblico curioso, investigativo e affannoso per l’uscita tanto attesa di Everything, Everywhere, All at Once con la regia speciale dei Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) in corso per la notte degli Oscar 2023, quest’ultimi già riconosciuti per l’originale Swiss Army Man.
Un botteghino mondiale all’incirca di 100 milioni di dollari, il paradosso della produzione filmica supera di gran lunga anche l’esoterismo svedese Midsommar. Una narrazione che sbalordisce anche il critico più perspicace, perché non è una storia che si orienta verso un unica direzione anzi la regia ci guida verso mondi paralleli laddove i personaggi possono avere la chance di rivelarsi diversi da ciò che sono e da che vogliono essere. Con attenzione vi dico che questi universi toccano la sorte del manicheismo, ovvero l’identificazione sacrale e la cosmologia dualistica dei valori incondizionati appartenenti al bene e al male come nel caso della famiglia Wang. La protagonista è la sensibilità armoniosa di Michelle Yeoh che interpreta Evelyn Quan Wang madre e moglie cinese che da immigrata vive negli Stati Uniti d’America, gestendo con il marito (Ke Huy Quan) una lavanderia a gettoni e con una figlia (la sorprendente Stephanie Hsu) omosessuale che non riesce ad assecondarla, ne accettare la sua stessa immagine somigliante e battagliera in cui vi è una scena peculiare molto intensa: la figlia le dice alla madre di avvicinarsi al “ grande bagel” (in ebraico è la pagnotta a forma di grosso anello) e con drammatica ironia, i registi Daniels la raffigurano come un buco nero, quest’ultima istiga la madre a perdersi all’interno di esso, perché lei si sente vuota, senza alcuna passione verace. Ma nuovamente sarà la Yeoh che aiuterà la sua famiglia con tutta la sua forza di volontà a far eclissare i problemi reali in possibilità emergenti, l’intuito strutturale del racconto filmico è fenomenale, perché ci lascia spalancare le finestre della fantascienza contemporanea, laddove anche i sassi parlano e le nostre mani diventano gonfiabili.

Follia cinematografica? No, dovremmo cominciare ad abituarci a una nuova strumentalizzazione digitale in cui la tecnologia si trasforma in una valle scenografica di immersione caotiche di immagini in continuo movimento e anestetizzanti come le ridefinisce Didi-Huberman. Addormentati ma allo stesso tempo elettrizzati dal mancato perfezionismo della vita moderna, Everything, Everywhere, All at Once, è un’anomalia sentimentale ma che racchiude ogni iperbole o surrealismo pragmatico, qual’è la voce espiatoria? Perché c’è il desiderio alternativo di salvarsi attraverso l’estremizzazione ridicola del proprio sé? Credo che sarà un’opera cinematografica che finalmente rischiarerà l’attitudine moderna: la noia e afflizione, ecco perché quest’ultimi impulsi emotivi hanno bisogno di essere radiati oppure congiunti con parabole d’amore e vie universali.

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