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tre ciotole

Tre ciotole

di Cristina Ruffoni

La regista spagnola Isabel Coixet con il film Tre ciotole, tratto dall’omonimo libro di Michela Murgia edito da Mondadori e che ha venduto oltre 200 mila copie, fa in modo che usciamo dalla sala senza essere tristi ma con la motivazione a “non sprecare neanche un minuto in stronzate, o con gente che non ci piace e che ci fa sentire soli”.  Durante le riprese del film Michela Murgia sapeva già l’esito della sua malattia e tutto il film è costellato da attimi e luoghi condivisi dalla scrittrice, con la differenza che la regista non pretende dalla sua protagonista che lasci un’eredità, un segno, ma solo nuovi legami tra  le persone che fa in modo di riunire dopo la sua scomparsa e con le quali è riuscita a entrare in profonda e rinnovata empatia.

Isabel Coixet ha sempre avuto come centro d’interesse la morte, affrontata già nel 2003 in “La mia vita senza di me” prodotto da Pedro Almodovar, con “l’invito a ricominciare a vivere quando la vita era finita”,  per la sua giovane protagonista a cui toccano poche settimane prima di morire.

Tre Ciotole

Credits: @Vision Distribution

Alba Rohrwacher in Tre ciotole offre una delle sue migliori interpretazioni, mostrando la sua naturale ritrosia e timidezza, quella stessa capacità di Marta a sottrarsi e scivolare via in bicicletta, i motivi per cui Antonio, cuoco affermato del ristorante Senza fine, non riesce più a sopportarla e decide di lasciarla. Il malessere e la solitudine di Marta, condivisi con il cartonato pubblicitario di un cantante K-pop coreano a cui parla e dorme accanto, cambiano dal momento in cui le viene diagnosticato un tumore al quarto stadio. Il significato della sua presenza nel mondo prende vita e “una notizia terribile si trasforma in una sensazione meravigliosa” proprio come la stessa Marta confida al suo ex compagno.

Elio Germano, come sempre incisivo nei suoi ruoli, deve all’inizio manifestare rabbia e insofferenza verso una compagna che considera un intralcio alla sua realizzazione. Entrambi si domandano amareggiati dove siano finiti tutti quegli slanci e attimi senza fine d’amore, ma proprio nell’assenza prolungata e  nella tragedia annunciata, scopre quanto sia ancora legato a lei, che però considera una fortuna per loro non stare più insieme con il dubbio che Antonio sarebbe potuto rimanere solo per compassione e pietà.

Gli altri attori comprimari sono ugualmente efficaci e diventano a mano a mano nella seconda parte del film, i nuovi legami affettivi, storie di vita che Marta attraversa con una diversa consapevolezza e visione del mondo, con una grazia struggente che riesce a farle apprezzare di nuovo abbracciare e baciare il suo collega professore Francesco, assaporare un cono di gelato e mangiare in tre ciotole. Anche Roma diventa il terzo protagonista senza imporre panorami da cartolina ma piccole cappelle di Madonne un po’ scure e uno stormo di uccelli in volo nel cielo cosparso di nuvole. In tempo di guerre e isolamento digitale, un film e un libro come questi capaci di parlare di morte con leggerezza non vanno persi, proprio per renderci la vita più lieve e vibrante.

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