di Cristina Ruffoni
La settantesima edizione del David di Donatello a Roma, ospitata a Cinecittà nello studio storico di Federico Fellini e condotta da Mika e Elena Sofia Ricci, è stata, nonostante alcuni pasticci tecnici di trasmissione, un autentico inno all’Arte della gioia, considerando che proprio questo libro di Goliarda Sapienza mai abbastanza ricordato, si è trasformato nel simbolo della vittoria da parte delle donne nel Cinema Italiano.
La mini-serie diretta da Valeria Golino, tratta da questo capolavoro, ha visto premiate le due attrici, la sempre auto ironica Valeria Bruni Tedeschi come miglior attrice non protagonista e Tecla Insolia, nel ruolo di Modesta, come miglior attrice protagonista, che ha dedicato il suo premio “ai libri dimenticati e ritornati in vita e alle personalità scomode, ai corpi e alle terre libere”, oggi più che mai.
Oltre alla presenza acclamata con sette statuette delle registe Valeria Golino e Francesca Comencini, il David di Donatello 2025 come miglior regia, dopo 70 anni, per la prima volta, viene riconosciuto a Maura Delpero regista di Vermiglio (qui la recensione del film), che per un soffio non è riuscito ad arrivare nella cinquina finalista per il miglior film straniero agli Oscar, anche se ha vinto il Leone d’argento a Venezia, con un film definito da lei stessa antimilitarista, capace di parlare di una guerra che ancora ci riguarda da vicino e con una scrittura che si rivela contro l’omologazione del linguaggio, considerando che “scrivere una sceneggiatura da soli è bellissimo ma anche terribile…”
Non si possono tralasciare il premio come miglior esordio alla regia a Margherita Vicario per Gloria!, Francesca Mannocchi ha ricevuto il David per il suo documentario sull’Ucrania, ricordando che “mentre si festeggia, c’è chi continua a morire”. Ad Alessandra Vita e Valentina Visintin, il premio al miglior trucco, per non dimenticare il lavoro costante e preziosissimo di squadra che silenziosamente e in modo invisibile esiste dietro alle quinte nei camerini di un set cinematografico.
Oltre all’omaggio struggente a Eleonora Giorgi e alla carriera di Ornella Muti, purtroppo assente, è stata fondamentale la vittoria sempre meritatissima a Elio Germano come miglior attore protagonista nel film Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre, che, come Pupi Avati, ha sottolineato la crisi profonda del Cinema italiano, la mancanza di sostegno reale e “la non uguaglianza e pari dignità tra ricchi e poveri, donne e uomini, cittadini italiani e immigrati stranieri ma soprattutto tra israeliani e palestinesi”, non avendo nessuna fiducia nel ministro della Cultura Giuli, dopo averlo ascoltato, e negli altri politici di questo governo ma solo in Sergio Mattarella, evocato anche da Geppi Cucciari, come “Papa per la pazienza che ha dimostrato negli anni appunto con tutti i politici”.
Per noi integerrimi amanti del Cinema in sala, interessa oltre alla sua celebrazione, soprattutto la sua sopravvivenza, perché i sogni evocati e resuscitati dalle storie che amiamo, come le donne, non si possono fermare e dissolvere.