di Cristina Ruffoni
Claudia Cardinale, interprete della La ragazza con la valigia del 1961 diretto da Valerio Zurlini, ricorda di aver imparato tutto dal regista, senza neanche il bisogno di parlarsi, grazie al suo potere di capire e raccontare le donne e la società italiana in cambiamento intorno a loro.
In Estate violenta del 1959, Zurlini racconta attraverso l’incroci di sguardi una struggente e torbida storia d’amore in tempo di guerra.
Un giovanissimo ma già altamente espressivo, Jean Luis Trintignant e una conturbante Eleonora Rossi Drago, si ribellano alle rigide consuetudini sociali della provincia, lasciandosi andare all’attrazione reciproca e passionale, anche se come sempre nelle vicende di Zurlini, saranno travolti e separati dalla fatalità e dalla Storia, basta pensare alla tragica fine di Alain Delon in La prima notte di quiete del 1972 dello stesso regista.
In una Riccione, apparentemente immutata e sonnacchiosa del 1943, una compagnia di ventenni continua a divertirsi indifferente al precipitare del paese nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
Quando un aereo tedesco sorvola minaccioso il litorale Roberta, una vedova trentenne con una figlia e il giovane Carlo, figlio di un gerarca fascista che gli ha permesso di evitare di arruolarsi, s’incontrano e iniziano a contrapporre il loro bisogno d’isolarsi per amarsi alla scena pubblica caratterizzata da giovani superficiali, un clero bigotto e una generazione adulta attenta solo alle formalità apparenti e all’obbedienza al regime imperante.
Rendendo omaggio al neorealismo surreale de I Vitelloni ma anticipando il silenzio metafisico della coppia che ritroveremo un anno dopo ne La Notte di Antonioni, Zurlini, riesce a sospingere la coppia nel finale, quando in fuga su un treno, viene sconvolta da un bombardamento che, pur lasciandoli illesi, li separa per sempre, conducendo lui a una crisi improvvisa di coscienza che lo spinge al suo dovere di combattente e lei al ritorno alla sua condizione di vedova e madre.
La donna percepisce il pericolo di perdere il suo amore appena trovato ma regredisce alla ragazza che era, alla quale è stato sottratto troppo presto il diritto all’amore e alla libertà di vivere ed essere felice. Non c’è una condanna diretta da parte di Zurlini verso questa Italia perduta in un conflitto ma basta lo sguardo rassegnato di Trintignant e quello smarrito di lei, nella sua rinnovata solitudine, a comprendere lo stridente contrasto tra ciò che desideriamo e quello che siamo poi costretti a vivere.
Nei film di Valerio Zurlini c’è sempre qualcuno che parte e un treno che attraversa lo schermo, per sottolineare l’immobilismo di una società troppo lenta rispetto ai cambiamenti in atto e ai conflitti della Storia che colpiscono soprattutto le donne incapaci di uniformarsi ai modelli di “Dio, Patria e Famiglia”, un monito e non solo uno slogan, che ancora oggi torna in auge e viene utilizzato per esercitare consenso e controllo.