di Marta Dore
Chi era al Festival di Cannes, dal 13 al 24 maggio, ha detto che a questa 78esima edizione c’era poca gente.
Trovavi sempre posto alle proiezioni, anche prenotandoti con un solo giorno di anticipo (le prenotazioni si aprono quattro giorni prima) e spesso avevi un sedile vuoto accanto al tuo. Cosa mai successa, dicono.
Eppure all’edizione 2025 del Festival si sono candidati a essere scelti per le varie categorie di concorso poco meno di 3mila film: un numero superiore alla media dei grandi festival, grande anche per Cannes, che dei grandi festival è il principale.
Non sappiamo spiegare il motivo di un pubblico più scarso del solito e anche di una partecipazione calante degli addetti ai lavori. Può avere influito il fatto che quest’anno c’erano soltanto due grandi maestri: i fratelli Dardenne (sui 70 anni a testa) e Spike Lee (68 anni)?
Per il resto, si sono visti per lo più i lavori di registi anche noti ma ancora in ascesa come Ari Aster, Kelly Reichardt, Joachim Trier, Dominik Moll, Julia Ducournau (Palma d’oro 2021 con Titane).
Il film vincitore
Il film che ha vinto la Palma d’oro, però, non era né tra i primi né tra i secondi.
La giuria – guidata da Juliette Binoche e che includeva anche la nostra regista Alba Rohrwacher – ha premiato infatti Un simple accident del regista e autore iraniano Jafar Panahi, che aveva già vinto la Caméra d’or nel 1995 con il film Il palloncino bianco, il primo premio importante vinto da un film iraniano a Cannes.
Vale la pensa soffermarsi sia sul regista sia sul film.
Jafar Panahi, regista, attore e sceneggiatore iraniano dissidente, ha girato i suoi film sempre in condizioni di estrema difficoltà. Attraverso i suoi lavori ha denunciato ogni volta le storture del regime che opprime il suo Paese e mostrato come la violenza strutturale che permea l’Iran abbia ricadute sulla vita spicciola degli iraniani, in particolare dei bambini, delle donne, delle persone povere.
La maggior parte dei suoi film sono banditi dal suo Paese e lui stesso è stato incarcerato diverse volte e gli è stato impedito di uscire dall’Iran in più di un’occasione, anche quando doveva ritirare premi importanti come l’Orso d’Oro a Berlino.
Questa volta, approfittando di un cavillo legale, è potuto andare a Cannes e ha ritirato il suo meritato Leone d’oro.
Tra dramma e commedia
Per quanto faccia film di denuncia politica e sociale, la cifra dolorosa di Panahi porta sempre con sé momenti di leggerezza e ironia. Anche in Un simple accident, girato e fatto uscire dall’Iran di nascosto.
Lo spunto iniziale dà vita a un intreccio molto coinvolgente: una famiglia con una bambina piccola investe con l’auto un cane. L’incidente innesca una serie di eventi che portano il padre a contatto con un uomo che riconosce in lui il suo carceriere; l’uomo lo rapisce e si prepara a seppellirlo vivo per vendetta ma viene colto da un dubbio. Non è sicuro che sia davvero lui…
Ne emerge una situazione paradossale, in bilico tra vendetta e comprensione, ma con un tono da commedia. Molti hanno parlato di capolavoro.
Gli altri premi
Oltre alla Palma d’Oro, la giuria ha assegnato il Grand Prix a Sentimental Value – storia di un regista di culto ma pessimo padre – del norvegese Joachim Trier, che ha ricevuto l’applauso più lungo del Festival (19 minuti di standing ovation).
Il Premio della Giuria è stato condiviso tra Sirât di Oliver Laxe e Sound of Falling della regista tedesca Mascha Schilinski.
Il brasiliano Kleber Mendonça Filho ha ricevuto il premio per la miglior regia con O agente secreto, mentre il riconoscimento per la miglior sceneggiatura è andato ai fratelli Dardenne per Jeunes Mères.
Le interpretazioni di Nadia Melliti in La Petite Dernière e di Wagner Moura in O agente secreto sono valse loro, rispettivamente, i premi come miglior attrice e miglior attore.
Non hanno invece ricevuto premi alcuni film su cui c’erano aspettative. Tra questi quello del noto regista Wes Anderson, alla sua quarta partecipazione al festival con The Phoenician Scheme.
E l’Italia? FUORI
L’unico film italiano in concorso era Fuori di Mario Martone che racconta il forte legame che Goliarda Sapienza, interpretata da Valeria Golino, strinse con alcune donne detenute insieme a lei, e delle difficoltà che la scrittrice incontrò per ottenere la pubblicazione di “L’arte della gioia”.
Nel cast, ci sono anche una sorprendente Elodie e la bravissima Matilda De Angelis. Spiace che il film non abbia ricevuto premi, ma di certo si rifarà al botteghino.