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Gioia mia

Gioia Mia

di Cristina Ruffoni

La prima opera cinematografica dell’esordiente palermitana Margherita Spampinato, Gioia mia, sorprende per l’originalità della sfida narrativa, in cui si confrontano non solo adolescenza e vecchiaia ma anche stili di vita e due solitudini arroccate nei loro mondi.
La regista ha confessato di essere partita proprio dalla sua esperienza personale, di quando bambina veniva spedita d’estate per molti mesi, dal Nord al Sud, per essere ospitata da due anzianissime parenti, che la introducevano a un altro universo di sensazioni, suoni, sapori e visioni.

Girato in un palazzo decadente a Trapani, in quattro settimane, a parte i due sorprendenti e illuminanti protagonisti, il dodicenne Marco Fiore e l’ottantenne Aurora Quattrocchi con già alle spalle esperienze professionali di Cinema e Teatro, gli altri bambini e anziane del cast sono stati volutamente scelti proprio per non essere attori, (tranne l’amica che intercede sulla spiaggia per la pace tra Nico e Rosa, che è una cantante) pur avendo contribuito con la loro intensa interpretazione a dare originalità e grande umanità alla storia.

Gioia mia

Locandina del film Gioia mia

All’inizio, Nico, al suo arrivo, soffre per la perdita della sua giovane e adorata tata e vorrebbe rifugiarsi nel suo cellulare per sopportare quel mondo apparentemente ostile e come lui stesso definisce “medievale”, fatto di spiriti rumorosi, sapori forti e stanze dalle tapparelle abbassate senza aria condizionata.
Sua zia Gela, asserragliata ai suoi misteri, alle amiche giocatrici di carte e all’amatissimo cane, non fa nulla per conquistare il nipote, che considera irritante, ottuso e petulante.

Dopo la morte improvvisa del cane e il segreto di lei condiviso tra i due, tutto cambia, entrambi si lasciano andare e il bambino si trasforma in adolescente che non ha più paura dei fantasmi come delle proprie emozioni, impara perfino a cucinare e riesce a dare il primo bacio a Rosa, una bambina che lo accoglie nel suo gruppo e nei giochi in cortile, proprio come accadeva una volta.
La regista riesce però ad evitare stereotipi abusati, sdolcinate effusioni e dialoghi convenzionali, per ricordarci come ogni tipo di amore, quello per un animale o come quello segreto tra la giovane Gela e la nonna di Nico, siano i motori dell’esistenza, anche al riparo dietro le tende, all’ombra di una chiesa o nelle scatole chiuse dei ricordi in cima a un armadio.

Il finale, con un incrocio di sguardi tra i due protagonisti d’intensa gioia, ci invade come le onde del mare e gli aromi dei piatti meridionali appena sfornati. Questa delizia per la vista e la mente rappresenta un esempio di grande spettacolo che omaggia Truffaut dei Quattrocento colpi e la tradizione rinnovata del migliore Cinema italiano.

Aspettiamo con trepidazione e curiosità il prossimo film della regista che ci ha commosso e fatto ridere.

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