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Il mestiere dell’aria che vibra

19 Giugno 2017
1.392 Views
di Cristina Ruffoni
Marco Tutino, foto di Bepi Caroli

Marco Tutino, foto di Bepi Caroli

 

Nessuna norma burocratica ci farà sentire più curiosi, più liberi, più aperti e meno autoriferiti, meno legati a una concezione lobbistica della cultura. Non sarà per legge che cesseremo di brandire la musica come una clava per abbattere un presunto avversario, e ricominceremo a interrogarci sulle ragioni profonde che ci hanno guidato a essere e diventare dei musicisti o ad occuparci di musica….”

Marco Tutino

 

Mallarmè sosteneva che al mondo tutto esiste per finire in un libro ma l’autobiografia, se non divaghi misteriosamente come Paul Auster o non hai l’ironia surreale di Orson Welles, si puòa tramutare in una trappola di specchi dove autocompiacersi o in una versione armata del genio incompreso.

Il mestiere dell’aria che vibra. Una visita guidata nei segreti della musica e dell’opera lirica di Marco Tutino, pur trattandosi di una genesi delle sue opere e del racconto del mestiere di compositore, non é definibile ma  trasversale al suo interno, un racconto aperto di chi é capace di reinventarsi nella scrittura come nella vita.

Di fronte all’ artificiosa levigatezza dell’arte ufficiale e del mercato e al degrado straripante della versione dell’Italia del Grande Fratello, tutti i motivi, le suggestioni, I problemi e le relazioni, vengono non solo ripensati e riproposti con uno sguardo attento e zigzagante, ma anche verificati allargando di continuo e in modo spregiudicato, il discorso all’intera situazione culturale e politica, individuando una rete di significati sull’evoluzione e il significato del processo creativo, che consentono una revisione e ricapitolazione  sul fenomeno dell’opera lirica.

Una delle conseguenze della musica, e’ che ci da’ la sensazione di poter avere in testa il mondo intero, come un’antologia infinita d’immagini, ma le illusioni del 68’ e la ferocia degli anni di piombo, possono farti deragliare dalla rotta verso il tuo destino.

Per Marco Tutino, per non avere più dubbi sul suo mestiere, sono  stati necessari, l’avvertimento sul pericolo del « dilettantismo » di una madre poco indulgente e la folgorazione nel foyer della Scala del Ballo in Maschera di Verdi, parallelamente alla scoperta di quanta gente ci vuole per fare un’opera.

In tutto il libro, alla fine di ogni capitolo, la parte : Istruzioni per l’uso, sposta l’attenzione dall’esperienza personale a un inventario condiviso, cominciato nel 1972 fino ad oggi, che analizza opere e strumenti, un codice tecnico e umano,  che altera e amplifica le nozioni su quello che val la pena conoscere e ricordare. Un diario di bordo, che non si sottrae dal rapporto ambiguo tra verità e arte, tra opera in divenire e immobilità del potere.

E’ solo nel comporre Cirano, la seconda opera, che Marco Tutino avverte : «É arrivato l’Angelo. Scrivi, la musica arriva quasi da sola, non sei tu ad inventarla, è evidente che c’era già, da qualche parte, nell’aria e nel tempo… »

Nonostante le numerose opere composte, commissionate e prodotte, gli anni a venire non saranno certamente solo trionfi e collaborazioni avvincenti, a partire da una certa critica ufficiale che si scaglia contro i Neoromantici, l’ostilità sindacale e dell’apparato burocratico, durante gli anni di quando, sarà direttore artistico del Teatro di Torino e anche Sovrintendente del Teatro di Bologna.

Il clamore e l’entusiasmo del pubblico americano per Two Women, sembra ripagare fino alla commozione un compositore che nonostante tutto, crede ancora che il mestiere che ha imparato sia quello di raccontare storie facendo vibrare l’aria, senza farsi influenzare da regole ideologiche o distinzioni tra passato e futuro. Tutino ci ricorda che forse e’ arrivato il tempo per l’opera lirica, d’interessare un pubblico più vasto, immaginando nuovi contesti, in un confronto con altre esperienze spettacolari e narrative. Rimescolare le carte e scombinare equilibri prestabiliti,  ancora una volta, oggi più che mai, l’unica via percorribile.

Progetto grafico della copertina PEPEnymi

Progetto grafico della copertina PEPEnymi

Un termine ricorrente impiegato nel libro é metalinguaggio. “Un metalinguaggio musicale, individua, analizza, decontestualizza ed elabora proprietà, caratteristiche e lessici di altri linguaggi, provenienti da epoche o generi diversi, allo scopo d’impigarli come materia per costruire una lingua terza e autonoma”. L’esempio massimo é La Bella e la Bestia, con Giuseppe Di Leva, piccola opera da camera, che si propone una satira del modello televisivo del reality-show. Teatro musicale che accosta e mescola il canto, il ballo e la recitazione. Questo precedente, può far riflettere sul cambiamento dello spettacolo dal vivo  e il coinvolgimento di un pubblico nuovo?

Certamente l’impiego di un linguaggio compositivo che tenga conto della realtà così multiforme della musica oggi, non può che favorire l’attenzione di un pubblico nuovo, soprattutto giovane. La cosa fondamentale resta non abbandonarsi ad esperimenti concettuali che non tengono conto delle tecniche narrative.  

La tua fonte d’ispirazione principale è stato il cinema,  la tua seconda passione. Basta pensare a registi come De Sica e Visconti, ma anche la fiaba, il jazz, il musical, fino ad arrivare ai Beatles e a Lucio Battisti. É possibile quindi, come tu hai dimostrato con le tue opere, liberarsi dal complesso di superiorità verso altri generi musicali per comprendere l’evoluzione del linguaggio musicale e aprire nuove frontiere di sperimentazioni e progetti di giovani talenti?

Io non ho mai avuto complessi ne’ di superiorità che di inferiorità. Tutta la creatività umana è interessante, soprattutto quando riesce a contenere i diversi livelli di lettura. Le cose più semplici, apparentemente, possono nascondere complessità infinite ma senza il bisogno di esporle come barriere. Si impara da tutto, dal cinema, dalla musica, dai videoclip, solo se si abbandonano i pregiudizi. 

Un’educazione  musicale, la pratica all’ascolto, la conoscenza della storia della musica, resi obbligatori dall’asilo al liceo. Queste sono condizioni fondamentali indicate  nel tuo libro, oltre che una nostra responsabilità individuale. Solo così, si può impedire il grande esodo dei giovani talenti dall’Italia?

L’educazione e’ la base di tutto. Ovviamente, se fatta bene, e nella musica siamo assai indietro. Evidentemente, chi può scappare da questo paese lo fa, perché la situazione fuori e’ migliore, senza dubbio.

Il Requiem per I giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, eseguito nel marzo del 1993 nella Cattedrale a Palermo, nel quale verranno coinvolti oltre al poeta Vincenzo Consolo, sette compositori: Marco Betta, Lorenzo Ferrero, Paolo Arcà, Matteo D’Amico, Giovanni Sollima, Carlo Galante e Marco Tutino, rimane un esempio isolato nel suo genere. E’ ancora possibile attualmente, ipotizzare un’opera, che fai non perchè puoi, ma perchè devi farla? Si abbandona l’estetica e la composizione si risolve in etica.

Il requiem fu un evento irripetibile.  Certamente  la dimensione etica e’ stata importante ma per noi non era disgiunta da quella estetica, anzi: ci sforzammo proprio di rispondere esteticamente ad un imperativo etico.
Credo che per un artista non si possa presupporre una separazione tra etica ed estetica. Anzi, direi che vi sia una identificazione tra i due sistemi di valore.

Ci sono carriere con bruschi passaggi di periodo o di stile, si pensi a Picasso o a Stravinsky, ma la critica ha sempre colto un’unità d’interessi e un intimo rapporto tra un periodo e l’altro. Si capisce come il medesimo compositore possa aver scritto Le sacre du printemps e gli ultimi pezzi neoschoemberghiani. In tutte queste composizioni riconosciamo la mano di Stravinsky. Come mai un teorico e saggista come Renzo Cresti, accusa la musica Neoromantica senza distinzione,  di scendere a patti, in nome della comunicazione, con l’effimero e la superficialità?

Ci sono musicologi che invece di informarsi, giungono a conclusioni affrettate senza aver studiato. Poi ci sono anche quelli che non capiscono la musica e nemmeno studiare gli serve a molto. E infine, ci sono quelli che non studiano ma coltivano pregiudizi banali. Il signor Cresti riunisce in se tutte queste caratteristiche.  

Marco Tutino, ha potuto contare sulla preziosa collaborazione di grandi professionisti e intimi amici, come Danilo Bramati, Laura Chierici, Giuseppe Di Leva e non ultimo il giornalista e scrittore Luca Rossi per riscrivere il testo della Ciociara. Ma al contempo, suggerisce ai nuovi compositori di non fermarsi alla cerchia degli stretti conoscenti nella scelta del direttore d’orchestra, della cantante lirica o del librettista. Qual è la giusta distanza tra le due opzioni?

La giusta distanza è quella che ti consente di capire se un tuo amico è anche bravo a prescindere. Io consiglio nel libro a non chiamare interpreti sulla base dell’amicizia, nel caso di un librettista è diverso: non è un interprete, è un autore.

Essere compositore e Direttore  Artistico di un Ente Lirico, è ancora possibile? In un paese, dove un artista viene stritolato dagli interessi di parte e dalla macchina burocratica, che predilige tecnici manager per far quadrare bilanci e interessi personali.

Essere un compositore è molto utile se vuoi fare il direttore artistico, perché è il massimo grado di conoscenza che una professione musicale ti consenta. Oggi in Italia, non ci sono più veri direttori perché si e’ consentito un tale abbassamento del livello qualitativo generale da non renderci utile l’aiuto di chi ne capisce troppo.

Progetti futuri, cosa ti auguri per il tuo futuro e per quello di un giovane compositore?

Mi auguro di continuare ad avere richieste di teatri del mondo e quindi di non smettere di scrivere. A un giovane compositore auguro di non rimanere qui, è un paese senza futuro. Ma un ottimo luogo di vacanza.

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