di Cristina Ruffoni
Isabella Rossellini ha sempre suscitato sentimenti e opinioni controverse nei suoi confronti e la sua prima candidatura all’Oscar come attrice non protagonista per il ruolo di Suor Agnese in Conclave ha provocato, come previsto, perplessità ed entusiasmo tra i suoi ammiratori e detrattori.
Il regista Edward Berger, per questa interpretazione di appena sei minuti che rappresenta una delle più brevi nella storia del Cinema che sia stata presa in considerazione per questa candidatura, ha voluto proprio lei, puntando molto sulla sua espressività, perché tutto si gioca sugli sguardi e i silenzi. Una suora apparentemente debole e schiva, come la immaginiamo nel contesto di un Conclave di Cardinali, che invece rivela un carattere forte e prontezza per intuire da che parte stare e come condurre la Casa di Santa Marta dove alloggiano i Cardinali. Un personaggio che gioca anche sulle sfumature oltre che sulla limpidezza, per non semplificare o indurre lo spettatore a non farsi ingannare dalle apparenze o dalle parole pronunciate. Isabella Rossellini si è ispirata alle suore che ha incontrato e conosciuto da ragazza, che ricorda proprio per la forza umana e la complessità di visione.
Fin dall’inizio, Rossellini ha avuto la fortuna di lavorare con chi della sola sua bellezza e immagine importava fino a un certo punto, primo fra tutti Renzo Arbore, che le ha insegnato l’importanza dell’ironia e come gestire il surreale, scegliendola come inviata de L’altra domenica. Altra esperienza, che lei stessa racconta come determinante per la sua formazione di attrice, è stato un ruolo nel film La morte ti fa bella, 1992, di Robert Zemeckis, dove scopre la sua capacità di esprimere la satira e perfino il lato grottesco.
Anche Lancôme, per la quale è stata testimonial per molti anni, compie un salto per stare al passo con i tempi che stavano cambiando la percezione del potere femminile nella società e non solo nella seduzione o nella famiglia.
Sicuramente è il regista David Lynch, suo compagno amatissimo, a fidarsi nel darle un ruolo complesso e impegnativo e a fornirle l’occasione di fare proprio dell’ambiguità e del doppio la caratteristica del suo personaggio nell’indimenticabile Blue Velvet del 1986.
Dorothea Vallens, la conturbante cantante dello Slow Club, non è solo una fragile e debole vittima che chiede aiuto per essere salvata ma anche una dark lady imprevedibile, scomposta, sbattuta, che depone la maschera dell’ imperturbabile bellezza per mostrare la sua angoscia divorante e la nevrosi sadomasochista che non può fare a meno di manifestare. Un personaggio memorabile che rielabora lo stereotipo della femme fatale per condurci direttamente nel complesso universo femminile in continua evoluzione, e che Isabella Rossellini ha saputo incarnare e inquadrare. “And I still can see blue velvet through my tears” ripete nell’ultima scena, mostrandosi come una bambola in frantumi ma che non è più costretta ad interpretare una parte.
Ora, Isabella Rossellini, a settantadue anni, può dedicare questa candidatura al padre regista Roberto Rossellini e all’immensa Ingrid Bergman che vorrebbe entrambi accanto, esempi di talento e vitalità che non smettono di illuminare i suoi giorni, anche quelli trascorsi nella sua fattoria e con i suoi amati animali domestici.
Sua madre preferiva i ruoli controversi e rifiutava quelli di donne innamorate e dedite ad alimentare il focolare domestico, a qualcuno giustamente bisogna pur ispirarsi, pensa ancora oggi, sua figlia.