di Cristina Ruffoni
La fiction di Rocco Schiavone tratta dai racconti di Antonio Manzini, su Rai2, è diventata talmente popolare da suscitare tentativi di boicottaggio, critiche moralistiche incapaci di scalfire l’audience in costante crescita e la fedeltà incontrastata, stagione dopo stagione, alimentate dal fascino senza tempo di Marco Giallini.
Che cosa distingue e rende così speciale questo vicequestore rispetto ad altri altrettanto famosi colleghi al Cinema e in televisione?
Rocco Schiavone non è un esempio di uomo di legge integerrimo ed eroe invincibile tutto d’un pezzo, non è mai soddisfatto di sé stesso, non pensa di avere una missione per salvare il mondo e neppure di essere un giustiziere e stagione dopo stagione risulta sempre più disilluso dalla realtà e distaccato dalle gioie della quotidianità, come d’altra parte molti di noi in questo periodo.
Lo stesso Marco Giallini ha dichiarato che è stato sempre un suo sogno interpretare un ispettore così “ciancicato e maledetto” ed anche per questo ci si è affeziona tanto a lui.
Oltre al fumo, c’è un’altra somiglianza perturbante tra i due: la morte delle rispettive e adorate mogli, tragedia che accomuna realtà e finzione. Inoltre Rocco Schiavone ha nostalgia di Roma e dei suoi amici poco raccomandabili, insofferente al gelo di Aosta dove è stato trasferito come punizione per insubordinazione alle autorità e per le sue frequentazioni non adatte al suo ruolo. In montagna non si è mai del tutto adattato al clima e non si è neanche integrato al contesto sociale. Solitario e esiliato si lega al suo cane di nome Lupa e anche se è un abilissimo vicequestore i casi non sono per lui sfide performanti ma problemi grevi da risolvere. Per Rocco la giustizia non esiste e non è uguale per tutti anche se non rinuncia mai a smascherare e a punire i colpevoli. Per queste particolari contraddizioni e slanci così imperfetti ma vitali, l’attore e il personaggio ci piacciono così tanto umanamente ancora prima di quello che ci fa immaginare.
Tutta la sua vita sembra essere un film, a partire dal padre che lavora in una fornace ma gli trasmette l’amore per il Cinema e si commuove per i finali di De Sica, di Germi e di Fellini. Lui stesso, che per mantenersi alla scuola d’Arte diventa imbianchino ma viene notato proprio a Teatro dal regista Lucio Amelio che viene trascinato a un suo spettacolo dall’amico comune Valerio Mastandrea. Da quel momento in poi, oltre ai grandi registri di teatro con cui ha lavorato come Arnoldo Foà, verrà anche il successo al Cinema, in un crescendo inarrestabile, amato dalla critica e dal pubblico, con un numero imprecisato di premi e David di Donatello. Ottanta film, conteso da registi come Castellitto, Verdone, M. Risi, Sorrentino, Cerami, Sollima e Genovese, oltre a moltissimi registi giovani che l’hanno voluto per il loro Cinema indipendente. Prima di farci sedurre ogni volta da Rocco Schiavone, è a Marco Giallini che tutte noi abbiamo fatto una dichiarazione d’amore.







