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September 5

September 5 – La diretta che cambiò la storia

23 Febbraio 2025
334 Views
di Cristina Ruffoni

Guy Debord, l’autore di “La società dello spettacolo”, sarebbe stato entusiasta del film September 5 – La diretta che cambiò la storia del regista Tim Felhbaum del 2024 sul massacro di Monaco di Baviera dal punto di vista di una troupe di giornalisti sportivi dell’ABC Sports.

Nel 1972, la Germania, come il resto dell’Europa, accoglie i giochi Olimpici in un clima festoso e di pacifismo, un’atmosfera da figli dei fiori, con l’intento di lasciarsi alle spalle i fantasmi cupi della storia recente e celebrare una nuova fratellanza fra i popoli.

Il presidente della divisione sportiva della dell’emittente televisiva americana ABC, Roone Arledge, dimostra fin dall’inizio al giovane responsabile della produzione Marvin Bader che bisogna sempre enfatizzare le emozioni dello spettatore, ricordando che ogni evento è anche politico, come dimostra l’intenzione di trasformare la vittoria del settimo oro di Mark Spitz in propaganda. Il nuotatore americano, di origine ebraica, risultava per i giornalisti il soggetto ideale per rilasciare un’intervista per prendere una rivincita morale e trasformare questo trofeo sportivo in una forma di riscatto nei confronti dei padri del popolo tedesco.

Ma tutto viene stravolto appena si sentono degli spari provenire dal villaggio Olimpico. La troupe televisiva trasforma la diretta da sportiva a cronaca, mettendo anche a rischio l’intervento dei cecchini tedeschi, poiché anche gli stessi terroristi hanno un televisore acceso nell’appartamento degli sportivi israeliani che tengono in ostaggio e possono reagire di conseguenza.

Il primo attacco terroristico, seguito in diretta televisiva da più di 900 milioni di persone, si trasforma nella trasmissione più vista nella storia, mettendo in risalto la totale inefficacia e poca preparazione dell’autorità tedesca che risulta del tutto impreparata a reagire per salvare gli ostaggi, facendo uno sbaglio dietro l’altro, provocando alla fine all’aeroporto il massacro totale di ogni componente del dramma.

Questo film è stato definito: “il thriller più claustrofobico del momento”, girato interamente in studio, con immagini di repertorio del villaggio olimpico, riproducendo le vecchie apparecchiature di allora, con tanto di pellicola nelle bobine e di titoli di scena che dovevano essere impostati con le lettere manualmente.

Il notevole talento degli attori riuniti in un unico ambiente, compresi Marianne la traduttrice e il coordinatore del programma Geoffrey Mason, aumenta fino alla fine la tensione, anche se sappiamo già come la storia andrà a finire.

Lo scoop giornalistico in esclusiva sui terroristi trasforma tutto in evento mediatico, una dichiarazione esplicita sul potere della televisione e la distorsione della percezione più che della stessa informazione, proprio come quando si osserva la storia dalla cabina di regia, quel meccanismo che sancisce l’unione indissolubile fra testimonianza, giornalismo e spettacolo.

La rivelazione al mondo della gravità del conflitto mediorientale, la  disperazione disposta a tutto della causa palestinese e  la storia che atrocemente si ripete sul suolo tedesco, si trasformano dietro lo schermo  in altro, in un’altra sceneggiatura, dove non c’è posto per il rispetto delle vittime innocenti, anche se i loro volti vengono appuntati sulla bacheca, per il dolore dei loro familiari, perché prima di tutto esiste il dovere di cronaca e saper tenere inalterato l’ascolto e l’audience. Eppure, questi giornalisti ci sembrano ancora partecipi, vulnerabili e un po’ naïf in confronto alla fiction reality senza coinvolgimento e tregua, messa in scena oggi dall’informazione digitale, considerando che la televisione risulta già obsoleta, come prima i giornali.

Il terrorista con il passamontagna affacciato alla finestra si trasforma in un fermo immagine nella nostra memoria e questo film tragico ma non declamatorio ci aiuta a tornare a riflettere sulla storia che non si dissolve nell’etere ma rimane inchiodata al nostro destino proprio come quell’uomo senza volto che è penetrato nello schermo e nella nostra mente.

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