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DOGMAN

11 Giugno 2018
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di Marta Dore

La visione di questo film dovrebbe essere preceduta da un’avvertenza. Ma non per il suo contenuto violento o splatter come molti si aspettavano dopo che si era saputo che Matteo Garrone, il più bravo regista italiano di questi anni con Paolo Sorrentino, stava girando un film ispirato alla vicenda del Canaro della Magliana, uno degli episodi più truculenti della cronaca nera degli anni 80.

Il canaro in questione si chiamava Pietro De Negri, era titolare di un negozio di toelettatura e una sera, dopo anni di umiliazioni decise di vendicarsi di tutti i soprusi subiti da Giancarlo Ricci, ex pugile dilettante, spacciatore del quartiere. Sotto l’effetto di una quantità assurda di cocaina, De Negri uccise Ricci, ma solo dopo 9 ore di torture e sevizie agghiaccianti, che poi lui stesso raccontò per filo e per segno in un terrificante memoriale scritto in carcere.

Ecco: la storia che mette in scena Garrone è davvero soltanto ispirata a quella avvenuta nel 1988. E Marcello, il canaro del film, è un personaggio così complesso e semplice insieme, così tenero, così ricco d’amore nonostante poi arrivi anche lui a uccidere, che proprio non si può sovrapporre a quel De Negri della cronaca. L’avvertenza di cui sopra riguarda proprio Marcello. Grazie alla sceneggiatura ma soprattutto all’interpretazione che ne dà quell’ometto dal viso antico che è Marcello Fonte, giustamente premiato a Cannes come miglior attore protagonista, Marcello sarà un personaggio di cui non vi libererete mai più.

Piccolino e mite, innamorato della figlia che vede solo ogni tanto perché separato dalla madre e con cui sogna viaggi esotici e avventurosi, distribuisce amore ovunque. Ama teneramente i cani di cui si prende cura, siano barboncini o ringhianti rotweiller, ama e si fa amare dai suoi amici del quartiere, con cui pranza e gioca – male – a pallone. Ama perfino Simone, una sorta di bestione violento, cocainomane e motivo di terrore per tutti quelli che vivono lì, che sognano di liberarsene o, meglio, che qualcuno finalmente lo faccia fuori.

Marcello ne riconosce la violenza, la prepotenza cieca, ne è succube ma ne è anche affascinato, al punto da proteggerlo anche nelle situazioni più gravi. Scrive Garrone nelle Note di Regia: “Questo film ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere, dei sì e dei no che diciamo e che ci portano a non poter più dire di no, dello scarto tra chi siamo e chi pensiamo di essere”. Marcello, con la sua vocetta e i suoi occhi pieni d’amore e d’innocenza, ha detto troppi sì, pagandone in modo gravissimo le conseguenze. E quando alla fine gli succede di dire di no, un no definitivo, non lo fa solo per sé, ma per tutti quelli che ha amato, che ama ancora, anche se loro non lo amano più. Peggio, anche se loro lo rifiutano come fosse un cane rognoso. E nonostante il suo terribile gesto risolutivo, che riscatta tutti, nessuno lo ascolta più, nessuno lo aiuta e le sue grida, e il suo dono, si perderanno in un silenzio straziante.

La regia di Garrone sembra porsi al servizio di una prova d’attore come non se ne vedevano da tempo, perfetta nel rappresentare un luogo che è realistico e surreale insieme, ideale palcoscenico per una tragedia che ha echi antichi in questo scontro tra il debole e il forte, ma dove il coro resta muto. E noi con lui.

 

 

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