di Noemi Stucchi
Nel cuore di Milano, entrando nel giardino interno di Corso Venezia 29, c’è un posto che profuma di storia, artigianalità e bellezza. Siamo a Ca’ Albrizzi, un marchio nato nel 1982 da un’idea di Adalberto Cremonese e Alba Giannelli Albrizzi, la mamma di Alessandro Giannelli.
Inizialmente era un laboratorio di legatoria e cartonage e oggi, sotto la guida di Alessandro Giannelli, Ca’ Albrizzi è un punto di riferimento per l’Interior Design e per gli amanti dei colori: tessuti, tende, poltrone e divani, carte da parati, moquette, tappeti, illuminazione, piccoli arredi e oggetti da regalo.
Dai tessuti dai colori pastello alle nuance più intense e audaci, tutto qui ha una dimensione tattile, viva. Le combinazioni più delicate portano armonia, quelle più decise regalano energia nella complementarietà dell’equilibrio.
Anche chi custodisce dentro di sé un’anima minimal e un po’ neoclassica non può che lasciarsi conquistare da queste tonalità calde, ragionate e sapientemente accostate. È come riscoprire all’interno di sé un ventaglio di colori che meritano di essere lasciati liberi, di abitare i nostri spazi.
I tessuti si trasformano in tovaglie, cuscini, poltrone, arredi: ogni dettaglio diventa un frammento di personalità. Camminando tra questi oggetti ci si sente trasportati altrove, e forse non è un caso che questo concept store, nel cuore di Milano, abbia un’anima che ricorda Venezia: la sua ricchezza, i suoi riflessi, la sua bellezza senza tempo.
Ca’ Albrizzi collabora con alcuni dei brand più iconici al mondo e oggi abbiamo l’onore di fare due chiacchiere con Alessandro Giannelli per scoprire insieme la filosofia e l’anima di questo luogo.

Ca’ Albrizzi è nata come laboratorio di legatoria e oggi è diventata un punto di riferimento per l’Interior Design a Milano. Come descriverebbe l’evoluzione di questa realtà e il passaggio da laboratorio artigiano a spazio dedicato anche al lifestyle e all’arredo?
In realtà è stato un percorso nato quasi per caso, ma con radici profonde nella mia famiglia. Già mio nonno e mio zio si erano occupati di interior decoration: progettavano interni e mio zio aveva un negozio di arredamento a Londra negli anni Settanta e Ottanta.
Cosa significa per lei portare avanti questo mestiere antico in una città come Milano, sempre più veloce e digitale?
C’è una dimensione legata ad un altro tempo. Non sembra neanche di essere a Milano: siamo lontani dalla strada, questa dimensione appartiene forse di più a una città come Roma, dove certe botteghe te le aspetti, a Milano un po’ meno.
È un tipo di commercio che ha una dimensione tattile. I tessuti, ad esempio, vanno toccati, non basta guardarli online: non si riesce a rendere la mano dei tessuti, devi avere il campione dal vivo. Il tessuto devi toccarlo, così come il colore su qualsiasi altra materia cambia rispetto al luogo in cui lo metterai. La luce incide tantissimo nella percezione del materiale e del colore.
In questi ultimi tempi, grazie a diversi progetti in collaborazione, si sta occupando anche della proposta di mobili e oggetti d’arredo. Ci vuole raccontare com’è nata questa passione per i mobili di prestigio?
Abbiamo iniziato progettando piccole lampade da terra e oggetti funzionali, come abat-jour in rattan, porta-valigie, scalette e tavolini. Sono pezzi d’appoggio, realizzati da artigiani, e l’idea era di creare oggetti non troppo costosi ma con un’anima autentica, in cui si vedesse l’artigianalità. Spesso ci ispiriamo a oggetti che avevamo già in casa o che abbiamo scoperto e reinterpretato. È un modo per unire il nuovo alla tradizione.
Collaborate con brand prestigiosi. C’è un filo comune che unisce questi marchi così diversi, e che l’ha spinto a sceglierli per Ca’ Albrizzi?
Collaboriamo con nomi importanti come Pierre Frey, Nobilis, Colony, Jim Thompson, Colefax e Lelievre, solo per citarne alcuni. È un mondo vastissimo: quando entri in contatto con un marchio, spesso si apre lo sguardo alle nuove collezioni. C’è una differenza con il passato nella proposta di velluti e jacquard, oggi il panorama riscontra l’esigenza di una gamma sempre più ampia e dinamica.

Entrando qui si percepisce un amore speciale per i dettagli, dalle righe ai motivi floreali. Da dove nasce questa passione e quanto c’è di personale nelle scelte estetiche che propone alla sua clientela?
I fiori divertono me, fanno parte della mia storia: sono cresciuto in una casa dove ce n’erano molti. Le case di una volta erano piene di fiori, adesso è tutto più moderno ma questa idea mi è rimasta. La moda dei tessuti, così come tutte le cose, vanno e vengono: dieci anni fa ad esempio il motivo floreale non lo voleva nessuno, oggi è tornato nelle case. Nelle selezioni proposte in catalogo è giusto mostrare ciò che oggi funziona di più con quello che funzionava bene qualche anno fa, perché non tutti seguono le mode. Arredare una casa non è come comprare un vestito: un abito dura due o tre anni prima di appenderlo nell’armadio, una poltrona invece deve rispecchiarti per almeno quindici anni. Per questo le scelte devono essere più personali al di là delle tendenze del momento.
C’è un progetto o un allestimento a cui è legato che rappresenta al meglio l’essenza di Ca’ Albrizzi?
Un progetto importante è stata la nostra casa di campagna, in Veneto, una dimora antica che è stata pubblicata su The World of Interiors. In quella casa ci sono molti tessuti provenienti dal negozio, ed è un esempio perfetto del mio stile, che è molto classico e radicato nella tradizione.
Ha dei consigli da darci per l’arredo della propria casa? Secondo la sua esperienza, cosa non dovrebbe mai mancare nelle nostre case?
Per prima cosa, vedo spesso case senza niente per terra. Un tessuto sul pavimento veste la propria casa. Un’altra cosa che vedo poco in Italia è l’importanza del calore. La luce calda è molto importante per dare atmosfera piacevole e accogliente. Un tappeto e l’illuminazione, queste due cose sono l’ossatura di una stanza.
Secondo me nell’arredo si devono mischiare cose nuove alle più antiche. Una casa si vede che viene vissuta e amata quando vediamo una stratificazione di epoche e provenienze. Basta poco, ad esempio con oggetti comprati in viaggio. È sempre divertente vedere un misto. Anche se di design, trovo che una casa monotematica sia molto noiosa. A Milano spesso si tende a questo approccio uniforme, ma oggi grazie al vintage si possono scoprire pezzi straordinari, anche online, provenienti da tutto il mondo. La riscoperta dei mercatini ha semplificato le cose. È una tendenza che dona una seconda vita agli oggetti, importante anche dal punto di vista ecologico.
Collaboro con Elisabetta Caorsi e il progetto “Le stanze della memoria”, con cui condivido la filosofia pratica del “mischiare”: lei si occupa di antiquariato inglese dell’Ottocento, di mio ci sono le stoffe e i tessuti utilizzati. È un approccio che si vede anche qui in negozio: convivono lampade di Ignazio Gardella e pezzi di fine Ottocento. È proprio questa mescolanza a dare personalità al negozio e allo spazio che ci circonda.

Foto Credits: © Ca’ Albrizzi
www.caalbrizzi.it







