di Marta Dore
“Che te lo dico a fare?”. È la frase che Lefty Ruggiero – il personaggio interpretato da Al Pacino in Donnie Brasco – ripete per tutto il film. E il suo significato dipende dal tono con cui Pacino la pronuncia, dall’espressione del suo viso mentre la dice, dalla postura del corpo e anche dal contesto, certo. Può significare rassegnazione, approvazione, rimostranza, sconcerto, incredulità. Pensavo che questa frase potrebbe essere usata come provino a una scuola di recitazione: “ripetila e falle assumere dieci significati diversi”.
Al Pacino ci ha regalato interpretazioni magistrali di personaggi enormi, ma mi piace ricordarlo mentre fa emergere molteplici sfumature da questo tormentone, in uno dei suoi ruoli forse più sottovalutati, ma che io ho amato moltissimo. Per una volta, infatti, non era il boss arrogante e violento che buca lo schermo, ma un mafioso di basso rango, un uomo triste, fragile, quasi patetico, e proprio per questo incredibilmente umano. Per una volta, Al Pacino occupava il grande schermo con uno stile dimesso e sottotono, ma altrettanto potente, efficace, commovente. La grandezza di uno degli attori più importanti della storia del cinema sta, del resto, in questa capacità di interpretare personaggi così opposti.
Alfredo James Pacino ha compiuto 85 anni il 25 aprile scorso. Nato a New York nel 1940 da una famiglia siciliana, ha avuto un’infanzia e un’adolescenza complicate. Abbandonato dal padre quando aveva due anni, è cresciuto con la madre nel Bronx, vivendo presto di espedienti. La sua propensione per la recitazione è iniziata a teatro, girando tra piccoli palchi off-Broadway.
Alla fine degli anni 60 viene accettato, dopo diversi tentativi, al mitico Actors Studio (tra il 1982 e il 1984 ne diventerà il direttore artistico), dove ha come maestro Lee Strasberg.
La svolta per lui arriva nei primi anni ’70, quando Francis Ford Coppola lo sceglie per interpretare Michael Corleone ne Il padrino. All’epoca, nessuno voleva lui: troppo sconosciuto, troppo strano. Avrebbero preferito attori più affermati: tra cui Jack Nicholson, Warren Beatty, Robert Redford. Ma Coppola ci crede, e ha ragione. Quel ruolo cambia tutto, per Pacino e per il cinema.
Michael Corleone è forse uno dei personaggi più iconici mai visti sul grande schermo: da giovane perbene a boss glaciale e implacabile, una trasformazione raccontata con uno sguardo solo, mille silenzi e una recitazione che ancora oggi fa scuola. E non finisce lì: con Il padrino Parte II (1974) (meno con la Parte III del 1990), Pacino scolpisce un personaggio tragico, potente, umano e spaventoso.
Nella sua carriera, non è stato però tutto mafia e crimine. Negli anni 70 e 80, Pacino esplora ogni tipo di ruolo: in Serpico è un poliziotto che lotta contro la corruzione; in Quel pomeriggio di un giorno da cani diretto da Sidney Lumet interpreta un rapinatore disperato che diventa, a sorpresa, un eroe mediatico.
E poi arriva Scarface (1983), di Brian De Palma, dove si trasforma in Tony Montana, re della cocaina e delle citazioni da poster (“Say hello to my little friend!”). Un film esagerato, ma che è diventato un cult assoluto.
Gli anni ’90 vedono la consacrazione definitiva: arriva il suo primo (e unico) Oscar per Scent of a Woman (1992), dove interpreta un ex militare cieco e sfrontato.
E poi c’è Heat – La sfida (1995), dove finalmente condivide la scena con Robert De Niro in un duello attore vs. attore che è pura tensione.
Il rapporto tra Al Pacino e Robert De Niro merita una digressione a parte. Per anni sono stati paragonati, messi a confronto, come due titani che si osservano da lontano. Eppure, hanno sempre avuto un profondo rispetto reciproco e hanno coltivato una vera amicizia.
La cosa incredibile? Nonostante fossero entrambi protagonisti de Il padrino Parte II, lì non hanno mai condiviso una scena. Il loro primo vero faccia a faccia arriva con Heat (1995), ed è storia.
Anche nel nuovo millennio, Pacino non ha mai smesso di recitare. Ha fatto film più piccoli, serie TV, ed è tornato a teatro mille volte. Anche in età avanzata, ha continuato a stupire. In The Irishman (2019), diretto da Martin Scorsese, è un Jimmy Hoffa pieno di energia, testardo e carismatico. In Hunters è un cacciatore di nazisti vecchio stile. Insomma: non si ferma mai.
A 85 anni, Al Pacino non è solo un grande attore. È una lezione vivente di cosa significa recitare con anima, corpo e cuore. È uno che non ha mai scelto la strada facile, ma ha sempre cercato ruoli difficili, contraddittori, vivi. Un attore che stando in silenzio per due minuti comunica più che con mille parole.
Non gli sono mancati i riconoscimenti: è stato candidato nove volte agli Oscar, vincendone uno come miglior attore protagonista per Scent of a Woman – Profumo di donna, nel 1993. Ha anche ottenuto venti candidature ai Golden Globe, vincendone cinque, di cui uno alla carriera.
Il suo 85esimo compleanno è una buona occasione per ritrovarlo: guardatelo, ascoltatelo, lasciatevi prendere. Perché lui non recita: è il personaggio.
Tanti auguri, Al. E grazie di tutto.