edi Miki Solbiati e Noemi Stucchi
Avvocato, autrice, personaggio pubblico e ospite d’eccezione in trasmissioni televisive: specializzata in Diritto di Famiglia e delle Persone, Daniela Missaglia è una figura autorevole sulle tematiche della vita coniugale come separazioni, divorzi, tutela della prole e del minore e successioni. (Rimandiamo qui alla biografia completa).
È con piacere che abbiamo avuto la possibilità di intervistare Daniela Missaglia per parlare del suo ultimo libro “Un colpevole silenzio” (qui la recensione del libro).
Non solo; ci siamo tolti qualche curiosità e le abbiamo rivolto qualche domanda sulla sua professione.
Ecco qui l’intervista per Not Only Magazine:

Daniela Missaglia © Laila Pozzo
“Un colpevole silenzio” è un libro sul bullismo, ma non solo. Al centro c’è un’altra tematica che è quella del silenzio, un silenzio che rende complici. Parlando di un caso d’esempio, quello di Giovanni, nel libro si parla di un fatto particolare per approdare ad una tematica più generale e altrettanto importante che è quella dell’omertà. Perché a volte è difficile parlare? Perché è importante smettere di rimanere in silenzio e denunciare può aiutare altre persone?
Martin Luther King disse che ci pentiremo non solo per le parole e per le azioni delle persone cattive, ma per lo spaventoso silenzio delle persone buone. D’altra parte l’omertà ha provocato il dilagare di fenomeni come la mafia che tante vittime innocenti ha seminato in questo Paese. Parlare ha sempre un prezzo, a volte molto alto, soprattutto quando farlo significa denunciare e assumerne le conseguenze. Così ci schermiamo sempre dietro l’alibi del manzoniano don Abbondio: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. C’è una cosa però più grande della paura: l’amore per i nostri cari. Se realizzassimo che il silenzio può nuocere a loro, allora non esiteremmo un secondo. Riesumiamo la parola, il confronto, quello che in famiglia si è trasformato in un mutismo, sostitutivo del compulsare i propri cellulari. Il dialogo con i nostri figli, quello che è mancato alla madre di Giovanni, può essere salvifico.
In tal senso, a pagina 103 del libro c’è un riferimento particolare al caso giuridico con la citazione dell’articolo 2048 del nostro Codice Civile. Ci può spiegare meglio che cos’è la Culpa in vigilando e quella che viene chiamata Culpa in educando? In generale, come si comporta la legge in questi casi con chi ha visto e ha taciuto?
Educare e vigilare sono due precetti di legge.
L’educazione grava innanzitutto sui genitori e, come ha scritto la Cassazione, non consiste solo in ‘parole’, ma anche e soprattutto in comportamenti e in concreta presenza accanto ai nostri figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare.
Anche la vigilanza è un dovere ed è ancorata all’indole ed all’educazione, nel senso che deve essere tanto più elevata quanto minore è l’educazione impartita, e si attenua man mano che il minore cresca di età.
L’art. 2048 del Codice Civile stabilisce che del fatto illecito commesso dai minori sono responsabili sia i genitori, per carenze nella fase educativa, sia coloro cui affidiamo i nostri figli – come la scuola e gli insegnanti – che debbono monitorare e controllare i loro comportamenti.
Ecco perché la madre e la nonna di Giovanni si scagliano, nel libro, contro l’istituto frequentato dallo sfortunato ragazzino, perché è mancata drammaticamente una funzione fondamentale che spetta alla scuola, a prescindere dai deficit educativi gravissimi delle famiglie d’origine dei bulli.
Quando si parla di suicidio e quanto di istigazione al suicidio? Ci sono altri colpevoli oltre alla persona che esercita atti di violenza e bullismo?
Nel diritto penale si ha istigazione al suicidio in chi determini altri al suicidio o rafforzi l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione: la pena non è tenue e prevede la carcerazione. Il bullismo – oggetto del mio ultimo libro – è una delle fattispecie che più si presta all’applicazione di questo reato perché si realizza con una serie di comportamenti finalizzati proprio ad indurre l’annientamento della vittima, fino all’estremo gesto. Oltre agli autori materiali degli atti di bullismo, in Italia e all’estero si sono registrate anche condanne di chi, come i presidi o gli insegnanti, hanno chiuso più di un occhio, non intervenendo per fermare la spirale devastante di questi fenomeni che avveniva sotto il loro naso.
Tutto parte dal ritrovamento di un diario… un po’ come una sorta di confessione, nel libro racconta le cause che l’hanno spinta a scrivere il romanzo. Come se, ad un certo punto, avesse bisogno di raccontare l’esperienza subita da altri per liberarsi e per rendere utile questo dolore a chi si ritrova in situazioni simili. Quanto è importante l’empatia e l’ascolto nella sua professione?
La professione che esercito mi ha messo al cospetto di situazioni che mai avrei pensato di vivere in prima persona. Il bullismo scolastico è solo uno spaccato del marcio purulento che scovo all’interno delle famiglie e della società in genere, dove spesso le vittime sono i minori. Ecco perché mi sono ritrovata a scrivere libri, proprio – come ha colto Lei – per fornire una testimonianza di ciò che si annida dietro la rassicurante normalità di ciò che vogliamo vedere senza indagare dietro la superficie. Scrivere, per me, è una forma di catarsi dal dolore inimmaginabile che vivono le persone e che non fa rumore.
Ad emergere con forza è il tema della ricerca della verità ad ogni costo, un tema che viene ben rappresentato dal personaggio di Ludovica, la nonna del ragazzo. Avvocato di professione, è una figura combattiva alla ricerca di giustizia, costi quel che costi. Perché è importante non arrendersi? Quanto conta nel libro e nel suo lavoro?
In Ludovica ho ritrovato me stessa, è evidente, una donna che, di fronte all’abisso luttuoso della figlia, cerca di rimanere lucida e di far prevalere la ragione per dare una parvenza di giustizia al nipote, aggrappandosi ad essa per non impazzire a sua volta. In Ludovica prevale la sua indole battagliera che l’ha formata nella professione, nel solco dell’abnegazione totale ai casi di cui si occupa. Proprio perché anch’io sono fatta così – e Ludovica è la mia trasposizione nel romanzo – non ho avuto problemi a immedesimarmi in lei.
Lei ha scritto diversi libri. Ci parla brevemente delle sue precedenti pubblicazioni? Per Not Only Magazine abbiamo già recensito “Crimini d’amore” (qui) e “Ingiustizia familiare” (leggi di più).
Nelle mie pubblicazioni precedenti, ho toccato, con stili e modalità differenti, temi riguardanti l’universo-famiglia, che è poi ciò di cui mi occupo da decenni per lavoro. ‘Crimini d’amore’ è stato quello forse più introspettivo, a tratti più crudo, e ad esso sono molto legata. ‘Ingiustizia familiare’ traccia uno spaccato della famiglia nella società moderna e delle ingiustizie cui mi sono ritrovata spesso testimone durante la mia professione, frutto di interpretazioni arbitrarie, descritte per indurre ad una riflessione su ciò che debba cambiare anche nel panorama-giustizia. “Un avvocato per amica” è un prontuario utile e illuminante su ciò che occorra fare e come sia necessario reagire a determinate situazioni di patologia della famiglia, è un ‘bigino’ che elargisce pillole di esperienza e di nozioni che non appartengono solo ai professionisti, ma che tutti dovrebbero dominare per affrontare i crocevia della vita. “Scarti di famiglia” è stato il mio primo libro, scritto nell’ottica dei bambini, vere vittime delle crisi tra i loro genitori, stritolati nei meccanismi di una giustizia che spesso ne dimentica i diritti e li abbandona al loro destino.
Come Vicepresidente e Socio fondatore del Comitato contro l’Ingiustizia Personale e Familiare, è impegnata nel sostegno di chi subisce ingiustizia in qualunque forma. Un progetto di protezione e aiuto ai soggetti più deboli. Ce ne vuole parlare?
L’associazione nasce dopo un episodio che mi ha molto segnata, professionalmente, e che ha avuto eco sui media nazionali. Questo fatto ha innescato in me la volontà di fornire un contributo concreto anche da una prospettiva diversa da quella prettamente legata alla mia attività in Studio. Una prospettiva più amplia dove metto le mie conoscenze ed esperienze al servizio della collettività, attraverso pubblicazioni, convegni, dibattiti, corsi di aggiornamento aperti a tutti, per toccare – di volta in volta – tematiche attuali legate non solo alla famiglia, ma a tutti quegli ambiti in cui il cortocircuito della giustizia determina un’ingiustizia e segna la vita delle persone.
Come nasce la sua collaborazione con il CONI?
Nasce dal mio amore per lo sport e dalla volontà di mettere al servizio le mie capacità legali anche nell’ambito del diritto sportivo, come è accaduto patrocinando alcune cause di diritto sportivo, al cui interno ho conosciuto persone preparate e degne di rappresentare i valori dello sport nazionale, potenziarlo e promuovere la massima diffusione della pratica sportiva.
Nel suo poco tempo libero quali sono i suoi hobby, le sue passioni e gli sport che predilige?
Nella mia vita ho praticato moltissimi sport – dalla ginnastica artistica al nuoto, dalla subacquea all’ arrampicata – per finire con il golf, sottovalutato e considerato ‘di nicchia’ quando andrebbe invece divulgato e stimolato nelle nuove generazioni perché è uno sport che riconcilia con la natura ed esige la stretta collaborazione tra mente e corpo, insegna la tattica, la strategia, il gioco di squadra, la concentrazione. Ha, quindi, un che di pedagogico e i successi dei grandi campioni che l’Italia annovera spero fungano da volano per la sua più capillare diffusione a tutti i livelli.