di Silvia Simonetti
Caro Paolo,
Ci svegli bruscamente per lasciarci addormentare in una realtà che vacilla tra la prevedibilità e l’inviolabilità cinematografica, in cui lo spettatore viene travolto dalla trascendenza simbolica e pragmatica della vita.
Le tue storie mutano laddove ogni frammento esecutivo dell’immagine fotografica si capovolge; il pubblico rimane un figurante librato in aria, oppure è un semplice amante dell’irregolarità umana.

Set del film “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino. Nella foto Paolo Sorrentino e Sofia Gershevich. Credits: ©Netflix. Foto di Gianni Fiorito.
Sorrentino è un regista solitario, dalle poche parole ma con sguardi in fiamme, napoletano d’eccellenza tramanderà nei suoi film la sua origine italiana.
In forma ironica svela segreti e dinamiche sociali senza far emergere la sua ideologia o recitare la parte del divulgatore e protestante fanatico come fece il controverso Nanni Moretti (ecco qui la recensione del suo ultimo film Tre piani presentato al Festival di Cannes).
Paolo Sorrentino non ha bisogno di un narcisismo eclissato dall’adorazione del pubblico ma agisce dando voce a ciò che non si dice, alla legge dell’ipocrisia, in cui il male sovrasta nell’inquietudine dei suoi personaggi come nel lontano 2001 con L’uomo in più, l’arguta recitazione di Toni Servillo che lo porterà a una stretta fedeltà filmica e confidenziale negli anni successivi.

Set della serie Tv “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino. Nella foto Toni Servillo e Filippo Scotti. Credits: ©Netflix. Foto di Gianni Fiorito.
Le prime fioriture rappresentative si riconoscono in Conseguenze dell’amore , Il Divo o This Must Be the Place, con l’innovativo cast alternativo e internazionale (Sean Penn, Frances McDormand), cominciando a farsi notare dalla stampa estera tanto da definirlo nelle sue scelte stilistiche come “moderna visione Felliniana”.
Fu con La grande bellezza (ecco qui la recensione) che diede risolutezza a personaggi grotteschi, ritornando nel passato dell’espressione evocativa, tra la grande commedia italiana alla Goldoni, all’Era Calviniana con Le città Invisibili, laddove ogni cittadino rispecchia l’ombra del suo paese, tra lussuria del divertimento e il desiderio proibito di conoscere la noia esuberante di se stessi. In particolar modo, è stato un film che aveva generato amari retroscena di un’Italia irrisolta quanto amabile per la sua frettolosa eleganza in feste fatate in cui tutto scoppia nella disperazione, che a sua volta muta in un cavernoso sguardo all’eterna giovinezza o all’infinita conoscenza dell’esperienza umana.
Lee Marshall (critico cinematografico) descrisse la sua opera filmica come “miscela di satira sociale e di malinconia esistenziale. Questa ricerca della poesia anche ridicolizzando la poesia stessa è stato già fatto da Fellini, ma “La Grande bellezza” è una straordinaria esperienza cinematografica”.
La conoscenza esperienziale si divulga nei scenari paradossali convertiti in un romanticismo disincarnato come Youth – La giovinezza, Loro o nella perversione adulatoria del sacro attraverso
la serie televisiva The Young Pope.

Set del film “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino. Nella foto Paolo Sorrentino. Credits: ©Netflix. Foto di Gianni Fiorito.
In questa sfera cronologica del tempo il regista napoletano si ritrova a misurarsi non più la vita comune ma individuale, dolorosa e con l’ancestrale stupore di esplorare i sogni, l’amore seducente, l’adorazione per Maradona.
Quest’ultimi sentimenti reconditi fanno nascere l’opera più intima e conservatrice di Sorrentino: E’ stata la mano di Dio, in uscita nella sale cinematografiche e sulla piattaforma televisiva Netflix, una rappresentazione con gli occhi di un’adolescente che è costretto a svegliarsi in anticipo, prima del candido tempo.
Il film è stato presentato alla a 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia (qui l’articolo).
Paolo diventa figlio di se stesso e insegna che assopirsi nelle tenebre del dolore umano senza lasciarsi ispirare e accogliere dalla mano di Dio, si è perdutamente persi nel libero arbitro ovvero: “ la caduta del vero”.
In ogni sua esposizione cinematografica c’è una lungimiranza scenica che può apparire per il pubblico limitante e miseramente sterile come appesantimento etico e visivo, ma esistono altri spettatori più intriganti che riconoscono immediatamente l’eterno sguardo come “osservazione inestinguibile di un’ altra terra silenziosamente invisibile: la vita magica di Paolo.”







