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Athena

Athena

30 Settembre 2022
552 Views
di Ludovico Riviera

Athena

Athena di Romain Gavras, film della 79esima edizione della Biennale Cinema di Venezia è ora su Netflix.

L’ambizione shakespeariana di un dramma contemporaneo

L’unico modo che la razza umana ha escogitato per convivere con le conseguenze della brutalità necessaria alla sopravvivenza è l’arte. Creare bellezza è essenziale, specialmente in periodi di incertezza, transizione e violenza. Parossisticamente, è proprio la convivenza col dramma della morte a fomentare l’ispirazione per la foggiatura del suo contraltare.

L’attualità è ormai piena di drammi, che percepiamo diluiti in un flusso ininterrotto di dati e informazioni. Solo sporadicamente, noi europei, entriamo in contatto con la crudezza di cui è capace certa vita: non siamo più abituati alla violenza o alla privazione. Per questo ci spaventano terribilmente, e tentiamo di catalizzare queste paure in rappresentazioni totemiche, film e serie tv. Ma è questa la ragione per cui, spesso, la narrazione del tragico – pure così frequente, fedelmente alla tradizione classica – risulta un po’ stereotipata, posticcia, elementare: non è qualcosa di autenticamente vissuto, e se lo è, viene filtrato da eccessi di enfatico manierismo.

Regia e sceneggiatura

L’appena uscito Athena (di Romain Gavras, 1981) è un esperimento tanto riuscito quanto fallimentare. La regia è perfetta, e la sceneggiatura ambisce a restituire al concept della guerriglia urbana una magniloquenza biblica: il film risulta certamente spettacolare, registicamente all’avanguardia.

Ma è un monumento ad una sorta di vittoria di pirro.

Athena: la storia del film

La storia è ambientata in una banlieu francese, assediata dalla polizia dopo che i di questa abitanti l’hanno riconvertita in odierno fortino, asfissiati dagli abusi delle forze dell’ordine ed esasperati dopo l’omicidio dell’ennesimo ‘fratello’, vogliono rivalsa. Ma è tra i veri, restanti fratelli della vittima che si svolge la dialettica del film, al cui centro vi è Abdel: un militare rientrato dal fronte a causa del lutto.

Tre fratelli

Egli, simbolo dell’ordine ragionato, si scontra con la volontà opposta del fratello Karim, zelota e leader della tentata rivoluzione. Dei tre, il maggiore Mokthar è l’elemento caotico neutrale: è un criminale senza morale, alla ricerca del proprio tornaconto. Se l’opposizione tra Abdel e Karim conferisce possanza alla storia, a causa del confronto morale fra i due, la presenza di Mokthar è pressoché superflua.

In uno scenario di guerriglia urbana si dipanano le motivazioni intellettuali tese a giustificare entrambe le fazioni: se da una parte abbiamo l’ennesima riproposizione del sogno comunista, una rivoluzione che, partita dal basso, potrebbe condurre alla liberazione dall’oppressione; l’atteggiamento delle forze dell’ordine – comunque non rappresentate attraverso le tinte oscure del fascismo che le innerva, ma come semplici esecutori al servizio delle poche certezze statali – è quello di hobbesiani agenti di preservazione dell’ordine sociale, richiamati a punire le esagerazioni dell’eccesso di diritto naturale, che conducono alla guerra intestina alla società, una guerra insita nella natura umana.

Merito e critica di Athena

Il merito di questo film è quello di illustrare con discreta chiarezza la contraddizione di questa nostra natura duplice: per convivere dobbiamo per forza reprimere parte della nostra natura; gli estremismi nascono dall’abbandonarsi ad uno di questi eccessi. C’è bigottismo sia nella sete di rivolta, che nell’infaticabile volontà moralista e conservatrice. Eppure, la visione del film, per quanto intrigante, mi ha lasciato interdetto: questa sua neutralità mi è sembrata un furbo espediente per non far arrabbiare nessuno.

Non a caso il titolo (il nome della banlieu ove si svolge il conflitto) è quello della dea della saggezza, ma anche della guerra: della guerra si illustra la nobiltà, l’inascoltata ponderazione. Non è un film di protesta, né un film apologetico di una o l’altra fazione: nel finale, che non spoilero, capiamo che l’intero pretesto di tutta la storia è un mezzo equivoco – sempre intriso di violenza, ma di una violenza scontata e facilmente condannabile. L’elemento intrigante della pellicola – l’ambiguità di un sistema sociale che giustifica le ingerenze della violenza di ambo le parti – viene smentito dal finale, che culmina certo in un’esplosione estetico/estatica di grande effetto, ma purtroppo, forse un po’ fine a sé stessa.

Note a margine

E’ questa arte? Sì: è fatta bene, girata con magistrali piani sequenza e illustra con dovizia una serie di pensieri che attorniano l’esigenza dei belligeranti, mostra un chiaro spaccato di realtà posto nell’estetica di un classicismo richiamato anche dalla colonna sonora, non priva di cori epici.

Però, forse, oggi abbiamo oramai bisogno di schierarci da qualche parte: questo film, per quanto bello, è anche troppo preoccupato di rimanere esterno a dei fatti che l’enfasi tragica, inevitabilmente, finisce per addolcire, edulcorare, depurare della propria violenta veridicità.

Ph. credits: @Netflix

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