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Intervista ad Andrea Zucchi

4 Novembre 2019
2.045 Views
di Erika Lacava

“Mi sento come un orfano del dadaismo, ormai annoiato dai giochini intelligenti di Duchamp e abbagliato dallo splendore irraggiungibile di Velasquez”. Andrea Zucchi

In conversazione con Andrea Zucchi (Milano, 1964), pittore figurativo sui generis che unisce rappresentazione metafisica della realtà a elementi di pura astrazione, con una ricerca che unisce il gusto del dettaglio realistico a una visione onirica straniante. Con una nota di leggerezza e sottile ironia.

Osservando i tuoi lavori si notano periodi diversi stilisticamente. Che cosa cerchi?

Il mio lavoro è organizzato per cicli: porto avanti un soggetto o uno stile finché non sento che il tema per me si è esaurito. Io cerco l’assoluto, e siccome non lo trovo, vado a prendere frammenti di realtà diverse che mi servono per sviluppare una molteplicità di aspetti formali. Mi piace giocare con un modo di dipingere sempre diverso, mi piace sperimentare. La mia formazione è basata sulla pittura classica, tradizionale: mi sono formato sostanzialmente sui libri. I miei lavori nascono da raccolte di immagini che poi vengono rielaborate.

Anche i soggetti delle tue opere sono molto variegati: dalle immagini accostate di “Combinatorie” (una mongolfiera e una risata di Franz Xaver Messerschmidt, un polipo e un’esplosione, un Buddha dorato e una raffineria di oro nero) ai rinoceronti, foche e pinguini delle “Contaminazioni neoplastiche”. Su che base scegli i soggetti delle opere?

La scelta del soggetto influisce sul modo in cui lo affronto, nel senso che dipingere un certo tipo di immagini mi serve per sviluppare degli aspetti formali ben precisi: per esempio nelle immagini satellitari applico una ripresa dell’approccio impressionista a tocchi di pennello. Per me è sempre rilevante il gioco delle volumetrie e delle associazioni per gamme cromatiche. Talvolta la scelta di un soggetto è legata alla sua forma: il rinoceronte è una struttura massiccia, quasi architettonica, di cui mi interessa la plasticità, come dei paesaggi artici mi interessa il riflesso. Ogni forma libera una parte di realtà da indagare. Oggi mi interessano le forme più fluide, libere.

La tua biblioteca, ricca di libri di arte di ogni epoca e stile, ti fornisce un supporto iconografico ineguagliabile. Nella serie “Spaesamenti” si rischia però davvero di trovarsi spaesati nel cercare un nesso negli accostamenti di icone dell’architettura moderna, come il Guggenheim di Bilbao o il “cetriolo” di Londra, a personaggi appartenenti a culture totalmente altre come i maori o le donne afghane.

Nei libri trovo un repertorio iconografico da cui attingere quando cerco di definire un concetto, riproducendo lo stesso flusso continuo di informazioni visive che ogni giorno riceviamo dalle riviste, dalla televisione e da internet, un bombardamento di immagini diverse che si susseguono senza sosta. Per gli assemblaggi parto da un’immagine che mi interessa dipingere e poi ne cerco un’altra adatta visivamente, che si possa avvicinare per la somiglianza della forma, o in accostamenti di linee e colori che possono sembrare soggettivi, non immediatamente percepibili. Non si tratta di accostamenti automatici alla maniera surrealista, ma neanche esclusivamente metodici: c’è sempre una combinazione di casualità e di ragionamento. Mi interessa soprattutto l’accostamento formale, mentre cerco di eludere l’aspetto narrativo, che riguarda il legame semantico tra i due soggetti.

In molte delle tue serie le immagini sono intervallate da fasce verticali colorate, o da linee dei quadratini bianchi a intervalli regolari. Sembra di vedere qui una costante nel tuo lavoro. Come dice Marco Meneguzzo nell’introduzione al catalogo “Quadri Polari”, “quadri polari nel senso che nascono tra i due poli della pittura, quello iconico e quello aniconico”.

Qui si inserisce l’aspetto della sottrazione, come se ci fossero dei pixel mancanti, in una sorta di alterazione dell’immagine naturalista vista attraverso lo schermo digitale. Le linee verticali sono anche un richiamo al Neoplasticismo di Mondrian e al concetto di neoplasia come un cancro che corrode l’immagine. I miei primi lavori erano sviluppati in maniera sistematica: partendo dalla figurazione di De Chirico e Francis Bacon, mischiavo metafisica ed elementi del fumetto fantascientifico. Erano lavori molto figurativi, retinici, ma anche piuttosto truci, in cui l’elemento dell’inconscio surrealista era più presente. Verso questi lavori mi rimaneva sempre una specie di insoddisfazione… Ho sempre guardato alla pittura antica e figurativa come riferimento, ma allo stesso tempo sentivo nei suoi confronti una sorta di soggezione, un limite oggettivo verso quel linguaggio, come se oggi non si potesse più andare oltre. Da qui nasceva il bisogno di ferire, quasi distruggere la tela. I primi segni erano dei graffi, che poi sono diventati delle linee, dei reticoli, che richiamavano i diagrammi dell’obiettivo fotografico o la struttura delle opere. Mi hanno sempre affascinato le linee di ricostruzione delle geometrie nei dipinti classici, le linee di fuga, la sezione aurea ecc. Quindi ho deciso di enfatizzare queste linee, e di dar loro via via un aspetto più contemporaneo e “mediale”, un po’ come i monoscopi o le barre di colore delle vecchie TV che indicavano fino agli anni ’80 la mancanza di segnale. Una sorta di disturbo, di visione dell’immagine filtrata attraverso lo schermo digitale.

Andrea Zucchi, Appropriazioni inattuali, La lettura, 120 x 150 cm, 2012

Un’altra costante nei tuoi lavori è l’uso di colori forti, di tonalità cariche e contrastate, visibili soprattutto nei lavori pop di “Appropriazioni inattuali” e nelle serie di imballaggi colorati, tra cui “Heliopolis”.

In questi anni ho sviluppato sempre di più una gamma di colori accesi, molto enfatizzati nella serie dedicata alle scene dell’Ottocento, un po’ con riferimento alla pittura manierista con i suoi colori cangianti, l’arancio, il violetto, ma anche affascinato dalla psichedelia e dai colori delle stampe indiane, molto “pop”, in una sorta di sincretismo stilistico. Nelle “Appropriazioni inattuali” l’accostamento al contemporaneo dell’antico o del moderno è attuato anche nella ripresa di immagini fotografiche che citano a loro volta immagini pittoriche, in una sorta di rimando continuo tra i due medium.

Nelle opere più recenti dai maggior spazio all’astrazione, convertendo i paesaggi ripresi da un satellite in un grumo di vene e capillari indistinguibili dai colori alterati.

Come diceva il mistico Ermete Trismegisto: “È vero senza menzogna, certo e verissimo che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare i miracoli della cosa una”. Mi sono sempre interessato di ricerca esoterica e di mistica, e ora questo elemento  ritorna nelle immagini della produzione attuale.

Andrea Zucchi, Impressioni-satellitari-VII, 170 x 240 cm, 2014

Questo richiamo al misticismo e all’esoterismo è visibile in particolare nelle ultime opere a cui stai lavorando: una serie più intima e criptica, sotto certi aspetti, che sfugge completamente alla figurazione realistica, per diventare puro simbolo da interpretare, come una stele di Rosetta. Qual è il significato celato dietro queste opere?

Le nuove opere riprendono elementi che hanno un forte valore simbolico, elementi sacri di diverse tradizioni, come il simbolo dell’ogiva cristiana e quello dei mandala induista, o una forma geometrica legata all’Islam. Sono elementi che singolarmente hanno un loro significato, ma io li mescolo solo dal punto di vista formale, senza la pretesa di conferire loro una narrazione o un significato simbolico complessivo. Ma naturalmente nella forma vi è sempre celato un contenuto.

ANDREA ZUCCHI
Nato nel 1964 a Milano, dove vive e lavora. Tra le mostre personali recenti, nel 2017 “Impressioni Satellitari”, Galleria Grossetti Arte, Palazzo Brandolin Rota, Venezia, nel 2015 “Vuoti – esercizi di manierismo”, Galleria Francesco Zanuso, Milano, nel 2013 “Doppio gioco, Appropriazioni & Astrazioni”, Fondazione Stelline, Milano. Tra le collettive, nel 2017 “Visioni Estatiche”, Galleria Francesco Zanuso, Milano, nel 2016 “Festival#Animali”, MACRO Testaccio, Roma, nel 2015 “Origins of Civilization, 56th International Art Exhibition” – La Biennale di Venezia, Pavilion of Syrian Arab Republic, Isola di San Servolo, Venezia, “Praestigium – Contemporary Artists from Italy”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, “Imago Mundi – Luciano Benetton Collection”, Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia.

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