di Marta Dore
In questi giorni Riccardo Scamarcio è in sala con il film Quasi Orfano, una commedia all’italiana molto leggera.
Se la cava bene, ma i ruoli in cui ha potuto esprimere tutta la profondità della sua arte di attore sono altri. A cominciare da quello di Manrico in Mio Fratello è Figlio Unico (titolo che curiosamente ha un significato simile a ‘quasi orfano’), un film di Daniele Lucchetti del 2007.
Nel 2007 Scamarcio ha 28 anni ed è di una bellezza così prorompente che poteva andare a discapito dell’efficacia del personaggio. Invece Manrico è un personaggio meraviglioso, solare e tragico insieme. Il film è ambientato tra gli anni Sessanta e Settanta. Manrico appartiene a una famiglia popolare che abita in una casa modesta a Latina, ha una sorella (Violetta – Alba Rohrwarcher) e un fratello più piccolo, (Accio – Elio Germano). Il padre è operaio e la madre una casalinga che fa lavoretti per cercare di arrivare a fine mese potendo dare da mangiare a tutti: da anni aspettano di vedersi assegnare una casa popolare. Che non arriva mai.
Manrico è bellissimo, lo ripetiamo, e appassionato: sia con le donne sia con la politica. Abbraccia il comunismo che in quegli anni era profondamente identitario, anche se, almeno all’inizio, questo abbraccio sembra scelto più per nutrire il suo narcisismo e la sua brama seduttiva.
Il piccolo Accio, se possibile, è ancora più appassionato del fratello maggiore e ha un animo ribelle, molto sensibile alle ingiustizie. È ossessionato dall’idea di risarcire gli ultimi. Nell’inseguire questo scopo, prima va in seminario, poi diventa fascista con tanto di tessera dell’Msi poi si perde in una sinistra poco convincente, sempre più vicina al mondo intellettuale che a quello proletario. Accio troverà un suo modo di ricompensare gli ultimi, mentre Manrico sceglierà la lotta armata e non ci sarà per lui, come per nessuno, alcun lieto fine.
Mio Fratello è Figlio Unico è un film molto bello, un affresco di quegli anni densi di speranza e ideologia, ma offre anche ritratti umani complessi, merito di una scrittura impeccabile, di una regia che sta addosso ai personaggi e di un cast dove ognuno dà il meglio di sé: a cominciare da Elio Germano, bravissimo!, per continuare con uno Scamarcio che non è da meno del suo comprimario, ma passando anche per una tenerissima Angela Finocchiaro, la mamma dei due fratelli e da Luca Zingaretti, simpatico venditore ambulante di tovaglie e fascista convinto.
Non ci sono stereotipo qui, ma personaggi a più dimensioni e commoventi, a cui si vuole bene.
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