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Matrix Resurrections

16 Gennaio 2022
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di Ludovico Riviera

È inutile negarlo: è con strepitante (benché certo, disillusa) attesa che abbiamo aspettato l’uscita al cinema del quarto capitolo della saga Matrix, la cui trilogia di predecessori – ad opera delle Wachowskis, duo di sorelle visionarie: scrittrici, produttrici e registe – ha profondamente segnato l’immaginario collettivo di più di una generazione.

Soprattutto il primo capitolo della saga, il leggendario Matrix (1999), vedendo luce alla cuspide del millennio, è divenuto a una pietra miliare del cinema, per svariate ragioni. Film distopico, ha segnato nuovi orizzonti per l’intero genere fantascientifico, rendendone popolare il sottogenere cyberpunk, di cui rimane tutt’ora l’opera più famosa mai realizzata. Ha anche innovato le risorse registiche del cinema d’azione, sdoganando particolari effetti speciali: come il celebre bullet time (la rotazione, talvolta in slow-mo, del punto di vista attorno ad un soggetto in movimento, ottenuta circondandolo di telecamere che riprendono allo stesso momento); ma anche il wire-fu (già ampiamente usato nel cinema asiatico, è il termine col quale si identificano le arti coreografiche e marziali usate appendendosi ai cavi, per simulare voli e salti sovrumani), da allora divenuti uno standard per il genere.

L’importanza di Matrix non fu solamente tecnica.
La scrittura del film, fortemente influenzata da svariate opere, fumettistiche e filosofiche, incluse temi marxisti e strutturalisti (desunti specialmente da Baudrillard), nonché tratti dalla psicologia evoluzionista, dalla cibernetica e dalle correnti di pensiero utopista legate all’osservazione dello sviluppo delle macchine: le Wachoswkis rimasero colpite ad esempio dal libro “Out of Control: The New Biology of Machines, Social Systems, and the Economic World”, scritto da Kevin Kelly nel 1992, il fondatore e capo della popolare rivista Wired.

Una combinazione di spunti simile è stata raramente affrontata con tale sintesi (e stile) da una qualsiasi opera filmica d’intrattenimento e grande distribuzione; d’altronde, l’eredità di un capolavoro non è certo facile da sostenere, e difatti nessuna opera successiva delle Wachowskis può eguagliare l’icasticità di Matrix. Anche se i due seguiti (Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, entrambi del 2003) ne hanno degnamente continuato la tradizione visionaria, rimangono nei suoi confronti opere decisamente minori. Se qualche sprazzo dell’antico genio è rinvenibile qui e là, in altri prodotti di una comunque rispettabile carriera (di cui ricordiamo la serie Sense8 e il suggestivo Cloud Atlas), questo quarto capitolo, Matrix Resurrections, diretto dalla sola Lana Wachoski, non fa eccezione nel sottomettersi all’autorevolezza di un passato troppo glorioso.

Il film è una strana commistione di elementi: dovendosi misurare con un presente che, nonostante sia per certi versi aderente alle precognizioni del primo film, si è sviluppato in maniera decisamente meno lineare, Matrix Resurrections ne affronta la complessità miscelando autoironia ad un ben evidente attivismo progressista, in un’impalcatura narrativa sostanzialmente ricalcata dal primo capitolo: Resurrections è un’enorme citazione del primo Matrix – in effetti, una resurrezione implica un nuovo inizio, che non significa necessariamente ‘diverso’ da ciò che già è stato – che non viene solo ricalcato narrativamente ma letteralmente quotato, riallestito in varie scene e spezzoni, col pretesto di un metalinguaggio sulla carta molto affascinante.

Ma nella pratica?

Sinossi (senza spoiler):
Thomas Anderson è vivo, è un game designer divenuto famoso proprio grazie alla serie di videogame di Matrix, in cui ha immesso i ricordi della sua, apparentemente delirante, vita precedente. Egli è infatti in terapia, e assume farmaci (delle suggestive pillole blu) che lo aiutano a gestire sogni e visioni ricorrenti che, mostrandogli un’esistenza diversa da quella percepita, lo fanno dubitare della sua stessa vita.
Grazie ad un indizio lasciato, più o meno volontariamente, da Thomas in un loop del codice dei suoi videogiochi, Bugs, capo della nave Mnemosyne, sblocca da esso un programma che simula il ruolo precedentemente ricoperto da Morpheus, e assieme liberano Neo dalla sua prigionia (come vedremo, nuovamente impostagli), in quella che si conferma essere l’ennesima versione aggiornata del programma Matrix. Tornato ancora una volta nel mondo vero, Neo si impegnerà a capire cosa è successo, oltre che salvare la rediviva Trinity, anch’essa nuovamente sopita nella simulazione.

Com’è il film?
Come ho già anticipato, non può reggere il confronto con l’autenticità del primo, ma questo si sapeva già. Bisogna ammettere che, al netto dei molti difetti (che non starò qui a elencare tutti), è un prodotto di buon intrattenimento, soprattutto per chi, come lo scrivente, appartiene alla generazione dei così detti Millenials: abbastanza giovani per essere ancora addentro al mondo della comunicazione odierna dal quale Lana Wachoswki pesca (talvolta maldestramente) a piene mani, infarcendo la pellicola di riferimenti alla meme culture; ma anche abbastanza vecchi da aver percepito la portata enorme del cambiamento avvenuto nel mondo occidentale da 20 anni a questa parte. Cambiamento che, con buona pace dell’esecuzione non sempre brillante, a tratti parodistica, viene però affrontato con una certa adeguatezza da una pellicola che, forse, avrà bisogno di un po’ di tempo per sedimentare completamente.
L’eccesso di ammiccamenti è un’arma a doppio taglio: il film è un profluvio di easter egg e prese in giro, il quarto muro si regge appena dato che, talvolta, si ha l’impressione di partecipare alla simulazione, tanto sono quotidiani i riferimenti citati. All’opposto, vi è la costante impressione di far parte di un gioco fine a sé stesso, privo di quella serietà tamarra che caratterizzava la trilogia.

Il senso del film, veicolato da questa forse eccessiva leggerezza, pare infilarsi in una ambigua nicchia di significato: sfruttando la solita idea della simulazione, Lana Wachowski mette in chiaro come oggi non esista comprensione di quanto accade – dentro e fuori da noi – se non si scende, anche solo parzialmente, a patti con un nemico il quale, grazie alla sua pervasiva egemonia, non può non influenzare anche le vite di coloro che si ‘risvegliano’. Oggi siamo tutti connessi, siamo tutti in terapia, lavoriamo e siamo tutti, in definitiva, collaborazionisti di un sistema che non è in grado di garantire per il singolo, e per di più imbroglia la collettività. Per riuscire a modificare la propria vita, bisogna conoscere la simulazione – bisogna tornare in Matrix, citando le parole di un redivivo ‘agente’ Smith – che ne determina gli sviluppi.
La conoscenza implica una forma di inevitabile collusione, una contaminazione potenzialmente fatale ma, come al solito, totalmente dissipata dal finale foriero di speranza: c’è sempre una possibilità di riscatto per Neo e Trinity, e dunque anche per noi, seppur nel compromesso del perpetuo aggiornamento.

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