di Arianna Di Perna
Dopo l’anteprima il 24 Gennaio a Roma, La notte più lunga dell’anno è un inno al cambiamento e alla rivoluzione in una storia notturna tra tempo e spazio.
Il film scritto e diretto da Simone Aleandri con il soggetto e la sceneggiatura di Andrea di Consoli porta in scena quattro storie tutte diverse fra loro, in una sola notte, il solstizio d’inverno in una cittadina ordinaria come Potenza.
Troviamo Luce (Ambra Angiolini) donna matura che fa la ballerina in un locale notturno, stanca di quella vita e succube di un sistema che la vuole sempre bella e aitante; Jonny (Luigi Fedele) giovane potentino trasferitosi nella capitale per l’università ma innamorato della sua ex professoressa del liceo, Isabella (Anna Ammirati) con cui ha una relazione clandestina che però non vuole lasciare il marito e la figlia per non rovinarsi la vita. Abbiamo Damiano (Francesco di Napoli), Enzo (Michele Eburne) e Pepè (Nicolò Galasso) tre giovani amici in cerca della loro strada e infine Francesco (Massimo Popolizio) politico che rischia l’arresto e cerca di scappare per non incappare nella giustizia.
La protagonista principale è la notte, un elemento di sospensione tra musica e silenzi; il film lavora su i suoni della città e sui suoi silenzi. Potenza, infatti nel film vive di ordinarietà e pesantezza, senza dei punti di riferimento utili al cambiamento e alla rivoluzione di sé stessi. Tutto è apparenza, in bilico tra astrazione e realismo, per mettere in luce l’umanità e la fragilità delle persone. Il film vive di riscatto e voglia di arrivare, ascoltare la vita per prendere le decisioni giuste nella notte in cui l’anima parla e ascolta tutto. Vivere un momento di riflessione per portare la vita a placarsi e svegliarsi in modo diverso e consapevole per prendere finalmente le decisioni giuste.
Il personaggio che però è il vero centro del film è Sergio (Mimmo Mignemi) il benzinaio di periferia che è presente in tutte le storie, come afferma nel film “Io la vita non l’ho vissuta l’ho vista passare”, sì perché lui ha una buona parola per tutti, vive con e dei personaggi. Non giudica, fa solo il suo dovere di “confessore”, un po’ come un parroco che riceve i peccatori, ma non per assolverli ma solo per dargli la giusta spinta a capire ciò che è meglio per loro.
Il film è una metafora della vita: silenzi, suoni appena accennati, luci soffuse, come un’altalena dove si cade e ci si rialza, nessuno di noi poi è veramente innocente, buono o cattivo; tutto è un insieme di errori e di rivincite da affrontare con il coraggio e la dedizione per non perdersi nell’oblio ma vivere a pieno di mille sfaccettature.