di Erika Lacava
Dopo la mostra “Migranti” nella sala del Camino degli Uffizi, Luca Pignatelli torna a Firenze con l’attuale “Senza data”, mostra aperta fino al 25 marzo al Museo Bardini. Curata da Sergio Risaliti, direttore del Museo del Novecento di Firenze, in collaborazione con la galleria Poggiali, “Senza data” è la terza mostra dopo quelle di John Currin e Glenn Brown, pensate per allargare i confini del Museo e proseguire il dialogo che la città di Firenze porta avanti da anni tra l’arte rinascimentale, di cui Firenze è capitale, e quella contemporanea (epocali le mostre di Ai Weiwei, Jan Fabre, Bill Viola, Marina Abramović…)
Non c’è posto migliore del Museo Bardini per apprezzare una mostra di Pignatelli in tutta la sua grandezza. Lontanissime dal white cube da museo, dalle mostre progettate in ambienti sterilizzati che devono scomparire per far emergere l’opera nel vuoto, le sale del Museo Bardini restituiscono all’opera di Pignatelli un contesto che delinea insieme anche l’origine iconografica della sua opera. Al Museo Bardini c’è più di una cosa a distrarre l’occhio, anzi, un intero museo. Un museo non di arte contemporanea, ma una commistione di arte, dall’antica alla moderna, e arte applicata, con arazzi, armature, sedie, vasche in marmo. E terracotte invetriate della bottega di Luca della Robbia,”La Madonna della mela” e “La madonna dei cordai” di Donatello, la lastra sepolcrale di Arnolfo di Cambio, e opere del Guercino, del Pollaiolo, di Nicola Pisano, Giambologna, schizzi preparatori del Tiepolo e figlio.
Uno spazio stracarico di arte e storia della collezione di Stefano Bardini, antiquario noto nella Firenze della seconda metà dell’Ottocento per essere un pregiato collezionista, oltre che attentissimo restauratore egli stesso. Una collezione che è eclettica commistione di generi, che affianca frammenti architettonici antichi come colonne e capitelli, accanto a sculture, ritratti e sarcofagi di epoca greca, romana ed etrusca, in abbinamento con opere rinascimentali, arazzi, cassettoni, tavoli, sedie, che ricreano un ambiente storico di immersione unica. Nelle sale dal caratteristico “blu Bardini”, colore scelto dal collezionista in Russia, che in seguito si è imposto in numerose collezioni private e nei musei, le opere di Pignatelli sono state inserite tra un pezzo e l’altro della collezione, con rimandi tra l’una e l’altra opera, in un dialogo aperto tra le epoche. Opere su legno invecchiato, su ferro zincato, su telone ferroviario: materiali moderni per teste e busti che rimandano all’antico. Una piccola pala d’altare richiudibile accanto a Donatello.
La mostra di Pignatelli è composta da 34 opere, di cui alcune realizzate appositamente su suggestione degli spazi del Museo Bardini, tra cui quelle sui frammenti di tappeti collocati sugli schienali di sedute che ben si integrano con le sale del Museo. Il lavoro di Pignatelli prosegue la ricerca tra Oriente e Occidente intrapresa dallo stesso Bardini, particolarmente visibile lungo lo Scalone dei tappeti, provenienti per lo più dall’antica Persia, dall’Anatolia e dalla Siria. Al Museo Bardini si sente vicina l’arte antica, quella moderna, e ci si trova a guardare negli occhi una scultura romana e un attimo dopo ad ammirare i lineamenti celestiali di un Donatello accanto a una testa classicheggiante di Pignatelli. In “Senza data” tutto è pensato per armonizzarsi con l’ambiente, per acquisirne forza e darne in cambio un bagliore di attualità, quell’aura che Benjamin definiva “l’apparizione unica di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina”.
Di molte sale del Museo conosciamo l’originale dislocazione delle opere grazie all’uso di Stefano Bardini di fotografare gli allestimenti per mostrare ai clienti le varie soluzioni compositive per gli arredi. Questo dato, rilevante a livello storiografico, viene rielaborato da Pignatelli nel Salone dei dipinti, dominato in lunghezza dal Crocefisso di Bernardo Daddi. con quattro grandi “Sculture” dipinte su tavole di legno che presentano, all’altezza del cuore, piccole macchine fotografiche a sottolineare la permanenza anche emotiva di questo spazio storico. Nella Sala delle Madonne, sotto un imponente soffitto a cassettoni, una sorta di timore reverenziale fa posizionare “Ercole” e “Il Condottiero” alle spalle del Crocefisso in legno policromo del XV secolo, lasciando invece sul fronte due opere astratte materiche, da cui emerge la parte superiore di una scala che ricrea, nell’immaginario cristiano, le figure dei due ladroni accanto al corpo morente del Cristo.
Per Pignatelli l’operazione di affiancamento è un tentativo di approcciarsi all’antico, un mettersi a confronto con opere consacrate alla storia dell’arte e rendere loro omaggio in un dialogo senza tempo, “Senza data” appunto, che attraversa i secoli carico di memoria. Come “un attore che riveste un ruolo in un film”, come egli stesso si definisce, o un commentatore a un’opera letteraria, Pignatelli riesce a dare non solo alla mostra, ma all’intera collezione un valore a-storico, nella prospettiva non più di un progresso delle arti in un’ottica storica di evoluzione scientifico-tecnologica, ma di un eterno presente dell’arte, che scavalca i limiti del passato e del futuro per un tempo unicamente presente. Come nelle ricerche iconologiche di Abi Warburg nell’Atlante di Mnemosyne, in cui i simboli di un’epoca storica vengono trovati in altre epoche e civiltà, e nei discorsi filosofici di Didi- Huberman sull’anacronismo delle immagini, o di Lyotard sulla fine della grande narrazione storica, in questa mostra si assiste, magistralmente, alla sospensione del tempo, per un incanto dato solo dall’opera d’arte.