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Recensione di “Disegnare con gli alberi”

10 Ottobre 2018
1.230 Views
di Guido M. Locati

Disegnare con gli alberi – Storie di giardini

Marco Bay

Mondadori, Milano, 2018

Disegnare con gli alberi

Dopo tanti libri di cucina e ricette varie scritti da cuochi più o meno famosi, (ma in Italia ormai si pensa solo a mangiare?) salutiamo con piacere l’uscita di un libro “verde” completamente diverso. Se ne avvertiva la mancanza dai tempi della “Storia Naturale” di Plinio il Vecchio! Esagero? Forse sì, ma sono certo che, leggendolo, resterete piacevolmente sorpresi dalla passione e dalle competenze di chi lo ha scritto!

Cominciamo proprio dall’autore, Marco Bay, architetto paesaggista tra i più famosi in Italia.

Il libro, con copertina dal verde predominante e illustrazioni interne in bianco e nero (sempre dell’autore), si intitola “Disegnare con gli alberi” sottotitolo “Storie di giardini” ed è edito da Mondadori.

“Questo non è un trattato sull’arte dei giardini, né un manuale di botanica. E’ il piccolo racconto delle esperienze di un architetto che disegna con gli alberi. L’ho scritto come se fosse stato il disegno di un giardino. E, come un giardino, non è mai finito. Con la natura non si finisce mai. Perchè davvero non basta una vita per fare un giardino”. Abbiamo scelto di utilizzare le parole dell’autore come incipit. In realtà, questo libro è, ad un tempo, manuale di botanica e, nell’insieme, può essere considerato un piccolo capolavoro di “architettura vegetale”. Contiene inoltre tantissimi consigli per giardinieri “in erba” e utili anche per giardinieri esperti.

Interessanti anche gli echi autobiografici.

Nei ricordi d’infanzia compare ad esempio il lago d’Orta dove “ho imparato a distinguere un rododendro da un’azalea” e il Monte di Portofino con vegetazione diversa a seconda dell’esposizione al sole, lecci e macchia mediterranea a ponente, prevalenza di castagni a levante.  L’autore dichiara di non affezionarsi a qualche pianta particolare, e di essere pronto a ripartire sempre da zero. Ci appare sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di sperimentazioni anche azzardate. Un esempio? L’aver osato  piantare nei pressi di Bellinzona, al limite del clima mediterraneo (per la vicinanza del lago) la Quercus x turneri “Pseudoturneri”. Ha scelto così di portare tra le architetture del luogo un semi-sempreverde non presente nei boschi circostanti, ma integrabile nel paesaggio. Raccomanda che la manutenzione sia semplificata al massimo, stigmatizza come spesso si esageri nell’utilizzare funghicidi e diserbanti con il risultato di mantenere la pianta sotto stress. Ci insegna a considerare i cambiamenti climatici un evento naturale a cui adattarsi e non una minaccia da combattere.

 Nel capitolo quarto (bellissimo il titolo: Come realizzare i sogni degli altri) raccomanda anche l’importanza del rapporto col cliente, riconosce che i lavori migliori arrivano quando c’è più intesa, quando si condividono interessi e passioni, dall’arte all’ecologia, alla cucina. Ci strappa un sorriso quando racconta che certi clienti gli hanno chiesto un giardino “che non attirasse alcun tipo di animale, nemmeno gli insetti, guai se dovesse volare una sola vespa!”. A volte- racconta- che, quando si ha a che fare con una coppia, l’intesa può instaurarsi con uno solo dei due.

“Come in Maremma: con lui avevo stabilito che le sughere presenti, superbe perchè secolari, dovessero diventare una metafora dei miti dell’antica Grecia. Le insicurezze di lei mi hanno fatto abbandonare il lavoro”. Impagabile invece  la soddisfazione quando c’è empatia con i clienti; p es quando  mi scrivono: “Il disegno, delimitare lo spazio, nella natura è una bella sfida: pochi sono capaci di misurarsi con l’infinito”.

Marco Bay non è certo il classico architetto “da tavolino”, non ama lavorare solo seduto davanti a una scrivania. Anzi: “Una delle regole del paesaggio che non trasgredisco è l’incontro fisico con le piante da selezionare. Si passa sempre dal vivaio, che si tratti di realizzare un balcone o un parco…I cataloghi cartacei o virtuali non possono trasmettere l’emozione delle piante viste dal vero. Non si realizza la bellezza di un giardino con un clic sul computer”.

Non si creda poi che le piante con qualche imperfezione nella crescita vengano snobbate. Al contrario “il loro difetto può diventare un valore aggiunto, che ne fa dei pezzi unici, diversi da tutte le altre… E da queste un giardino acquisisce maggiore carattere”. Veniamo poi a sapere che il più esteso vivaio d’Europa è a Pistoia, e che a Carugo, in Brianza, c’è il più bel rondò d’Italia, arredato  da grandi parrotie, piante della famiglia delle Hamamelidacae, dai rami tortuosi e dalla splendida colorazione autunnale, dall’oro al rame.  La curiosità è che sono state disposte ignorando il cerchio e come per replicare una piccola New York: Manhattan in fondo non è che un’isola allungata, in cui “l’orditura dei grattacieli ne definisce il profilo irregolare delimitato dal mare”.

Una volta approvato il disegno del nuovo giardino, scelte le piante in vivaio, arriva il momento di realizzarlo, se necessario, sporcandosi, letteralmente, le mani! Qui la priorità è riuscire a sensibilizzare le maestranze sull’importanza di salvaguardare le specie vegetali preesistenti: “la mancanza di rispetto per gli alberi è un brutto vizio, spesso vengono maltrattati per pura inettitudine: scavi intorno alle radici, che rimangono esposte all’aria o al sole magari per settimane, disidratandosi irrimediabilmente, oppure soffocate da metri di detriti che impediscono loro di respirare…”. Opportuna la messa in opera di reti da cantiere come a voler dire: altolà, qui ci sono alberi vivi!

Dal punto di vista prettamente architettonico, l’autore cerca di combinare l’architettura del giardino con la forma libera delle piante facendo convivere la scena formale con quella naturale.

Ma lasciamo ancora una volta la parola all’autore: “un giardino ben disegnato coinvolge lo spazio in modo tangibile, senza intermediari. L’architettura è l’arte dello spazio. C’è una sostanziale differenza tra il progetto del giardino e quello del paesaggio: il primo è esempio di “bellezza conclusa”, il secondo è “bellezza sconfinata”.” Il libro ci racconta in breve la storia dell’uomo impegnato nelle espressioni estetiche del giardino da Roma antica a Versailles. In realtà, è solo da due secoli che si parla di architettura del paesaggio, “da quando Humphry Repton esordì, con i suoi paesaggi disegnati, come landscape gardener (corsivo)”. Ma la grande visibilità arriverà a metà Ottocento con l’inaugurazione del Central Park di New York. Il progetto di un  giardino dovrà preferire poche e selezionate specie vegetali, evitare scenografie grandiose. La parola d’ordine, insomma, dovrebbe essere “sobrietà”o se preferite un termine oggi di moda, “minimalismo”.

Di importanza prioritaria è il movimento. L’articolazione dello spazio deve suggerire un percorso soprattutto motorio. Significative, al riguardo,  le parole del libro: “quando ci si trova di fronte a un viale alberato, l’intenzione è di percorrerlo per scoprire cosa succede al suo termine; la prospettiva spinge l’occhio a vedere oltre, solo così lo sguardo segue il passo; al contrario, un sentiero curvilineo non mostra cosa può accadere oltre la curva, o quale albero o rosa si incontrerà, ma in ogni caso muove la curiosità…” Esempi di giardini che esaltano il movimento sono le passeggiate “slow” del XXI secolo: La Promenade plantée a Parigi e la High Line a New York.

Naturalmente ci è qui impossibile descrivere tutti gli episodi curiosi che popolano questo libro unico per molti aspetti. Pregevole, infine, anche lo stile e la creatività. Un esempio? Quando l’autore (in un progetto per l’università) aveva immaginato una casa cui si arrivava attraversando un labirinto e “una volta entrati, il rumore dell’acqua si diffondeva come una sorta di cascatella. Per assicurarne la suggestione, avevo registrato il rumore della fontana milanese di Aldo Rossi…”. E’ un’immagine che, crediamo, avrebbe fatto piacere a un certo Borges! Buona lettura.

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