di Ludovico Riviera
Rockstar e cinema
Per quanto riguarda la musica, quel che cerco è l’autenticità.
Il genere della musica rock basa gran parte della sua mitologia sul connubio che unisce l’arte al suo creatore. Se da un lato il culto della rockstar è una ricerca di autenticità, dall’altra ha aperto la strada all’ibridazione. Nella produzione mainstream più contemporanea, pressoché la maggior parte della musica rock si mescola con altre forme di rappresentazione. Come diceva la canzone dei The Buggles, “ Video kill the radio star”.
Studio 666 (appena rimosso dalle sale, ma disponibile su Amazon Prime) è un prodotto tipico di questo fenomeno, che non solo spinge i musicisti all’omologazione ad uno stile spesso indefinito proprio perché troppo ‘internazionale’, ma li conduce ad avventurarsi abitualmente in territori nei quali forse dovrebbero limitarsi a poche, fortuite comparsate: come il cinema.
Studio 666 (regia di BJ McDonnell) è un film discreto, veramente senza pretese: come ripeto sempre, il modo migliore per apprezzare questi prodotti è prenderli per ciò che sono. Pieno di citazioni sia horror che musicali, che non mancheranno di triggerare l’attenzione degli appassionati.
La pellicola si presenta come una sequela di sketch, alcuni divertenti altri meno, che circoscrivono le disavventure del gruppo – i veri e propri Foo Fighters, interpretati da loro stessi – alle prese con la registrazione del loro ultimo album – uscito appena l’anno scorso, parliamo di Medicine at Midnight).
Trama del film
L’opera viene realizzata in una villa posseduta, motore della storia che, nelle vesti di commedia horror, proverebbe addirittura a fare autocritica (il soggetto è tratto da un racconto scritto dallo stesso Dave Grohl) sulla gerarchia dei gruppi musicali e sul ruolo, spesso troppo predominante, del frontman.
É infatti proprio Grohl che, nella casa, viene posseduto e diventa pericoloso per sé e per il gruppo: sicuramente, una metafora che allude alla brama di protagonismo, dominio, e creatività artistica tipica dei musicisti di rilievo. Grohl, oltre ad essere fondatore dei Fighters, è l’ex batterista dei Nirvana, lo storico gruppo grunge che lasciò il segno sul finire del secolo scorso: l’esperienza di capogruppo, e parte degli atteggiamenti al ruolo connessi è qualcosa che, possibilmente, ha visto trasmigrare in sé dal compianto Kurt Cobain, anch’egli affetto, in maniera anche patologica ed infine letale, da profondi conflitti interiori.
Una riflessione di per sé interessante, ma da sola insufficiente nel promuovere completamente un film che, purtroppo, fa troppo affidamento al citazionismo e all’esagerazione splatter, certo coerenti col genere scelto, ma capaci di annacquare la forza degli eventi reali che, come crediamo, hanno ispirato la storia del film.
Il rock al cinema
Ho parlato di autenticità all’inizio, proprio perché volevo riferirmi alla genesi del genere rock, che oggi vive un’idiosincrasia a tratti intollerabile, visibile anche nei film recenti e più famosi ad esso dedicati.
Come insegna Jack Black in alcuni precedenti illustri predecessori di Studio 666 (School of Rock di Richard Linklater, 2003, e Tenacious D e il Destino del Rock di Liam Lynch, 2006) ‘rock’ è scagliarsi contro il potere per denunciarne le scorrettezze. Ma questo film non farà proprio parte di questo potere contro cui, in teoria, ci si dovrebbe ribellare? Anche il non prendersi sul serio, come fanno i Foo Fighters, può diventare una forma di conformismo: la differenza principale tra Studio 666 e i film summenzionati è proprio nell’autenticità: se il registro è ironico per tutti e tre, i primi due vantano una coerenza che quest’ultimo, purtroppo, non ha.
Per quanto divertente, l’occasione del decimo album della band non può non saltare all’occhio, essendo anche il principale giustificativo della trama; questo fatto pone, almeno moralmente, Studio 666 un gradino più in basso alle opere con Black, le quali hanno il pregio di una leggerezza disinteressata, non essendo Black un musicista a tempo pieno come i Fighters, i quali provano a imitare le gesta dell’attore peccando di eccessiva egomania (un film del genere, comunque lo fai perché sai di essere figo), laddove egli si è sempre posto, con apprezzabile onestà intellettuale, più come fan idolatrante che non come effettivo compartecipe delle gesta narrate.
Conclusione
Nonostante ciò, Studio 666 è un film divertente, agile, breve (oramai i 90 minuti, una volta quasi canonici, sono veramente brevi per quanto riguarda i lungometraggi), di cui consiglio la visione soprattutto agli appassionati sia del rock che dell’horror: meglio se di entrambi, e meglio se nel mood di non pretendere capolavori del cinema: se il rock è morto da tempo, pensate a divertirvi che forse è meglio.