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Tommaso Cennamo, l’intervista al regista di “Il tempio della velocità”

di Francesca Bianchessi

Dopo l’intervista al produttore Massimiliano La Pegna (qui l’intervista), proseguiamo con il secondo appuntamento riguardo al film documentario “Il tempio della velocità” (cooproduzione Rai e Moviheart). Grazie a Ni.Co. ufficio stampa, questa volta abbiamo scambiato due parole con il regista Tommaso Cennamo.

Tommaso Cennamo

 

Cominciamo come si suol dire, dal principio: come si è approcciato alla regia?

Sono partito dal giornalismo, solo in un secondo momento ho cominciato a scrivere programmi TV. Sono infine approdato alla regia lavorando per esempio per il canale “Focus”;  quest’anno è uscito “La Guerra Bianca” una mini serie sulla Grande Guerra combattuta in Trentino.
Per quanto riguarda “Il tempio della velocità” l’ho approcciato prima da un punto di vista della scrittura ed è stata una grande scoperta! Non sapevo delle tante vite dell’Autodromo.

Tommaso Cennamo

 

Ti faccio una domanda che Massimiliano (La Pegna, il produttore) mi ha detto che avrei dovuto fare a te e quindi eccola qui: il materiale raccolto sarà stato tantissimo. Come si sceglie che cosa utilizzare e cosa no?

Raccontare periodi storici molto lunghi è molto difficile! Noi avevamo i filmati dell’Istituto Luce che andavano dal 1922 al 1960, poi avevamo tutta la documentazione delle Teche RAI… Sono ore e ore di filmati, una prima scrematura la si è fatta per raccontare la parte storica e le storie legate all’Autodromo. Poi altri sono stati tenuti per le storie parallele degli eroi e delle tragedie del circuito.
Un’ulteriore selezione l’ho fatta basandomi sulle interviste e sulla direzione, talvolta sorprendente, che prendevano.

Il tempio della velocità

Si ringrazia Ni.Co. Ufficio Stampa

Anche nei tuoi precedenti lavori c’è tanta Italia, perciò anche a te chiedo: ricerca personale o volontà di raccontare l’Italia in maniera diversa?

Beh, ci sono tanti spunti e occasioni per descrivere il proprio Paese. Piuttosto che soffermarci sugli aspetti negativi, se c’è una possibilità di raccontarlo in maniera positiva, io sono contento!
Nel documentario raccontiamo quello che io ho visto come un monumento del nostro paese, non tanto diverso dal David o dal Colosseo.
Monza è un punto di riferimento e ne ho approfittato per raccontare il fermento attorno ad esso. L’ Autodromo è un laboratorio di sperimentazioni ed è stato un volano per la ripresa del dopoguerra.

 

Spostiamoci un po’ più sul tecnico. Oltre ai filmati ci sono tante le testimonianze: come si riprendono così tante persone che sono distribuite in tutto il Paese e all’estero?

Innanzitutto con un team affiatato e competente. Grazie al produttore esecutivo Alessandro Loy avevamo un piano di lavoro che ci ha permesso di mettere insieme tutti e, per ogni intervista, la troupe intera o alcuni membri si spostavano.
Il secondo elemento fondamentale è avere una forte motivazione. Per tutte le persone cui è stata chiesta una testimonianza, la parola “Monza” è stata un passe-partout e hanno avuto a cuore di dire “Io c’ero”.

Flavio Briatore

Si ringrazia Ni.Co. Uffico Stampa

Hai detto che talvolta dalle testimonianze venivano fuori delle sorprese. Avevate una sorta di scaletta o avete lasciato che raccontassero?

In ogni documentario, nelle interviste, è un venirsi incontro. Ad esempio avevamo intervistato Eddie Irvine in italiano in un primo momento, poi ci siamo resi conto che utilizzando l’inglese, riusciva a tirar fuori tutto ciò che voleva dire su Monza. Ha tirato fuori tutti gli “WOW” che sentiamo nel documentario.
Noi però dovevamo riportare tutto all’Autodromo perciò li abbiamo un po’ indirizzati.

 

Come dice Alesi nel film “bisogna saper anche lasciare il volante” perciò ti chiedo, nel rapporto come un attore di spessore come Francesco Pannofino, dove si tiene e dove si lascia il volante?

Francesco è una persona di grande esperienza e ci traghetta sul set come narratore per tutto il film.
Nella sua carriera di attore e doppiatore, ci sono esempi in cui ha già prestato la sua voce al genere del documentario; tuttavia questa è la prima volta che compare come narratore esterno davanti alla telecamera per accompagnarci in ciò che vediamo.
La scintilla che lo ha portato ad unire tutti i periodi storici del documentario è stato il suo stesso stupore per la storia del circuito.
Il tour del Building che si vede verso la fine, è nato tutto da lì. Durante il Gran Premio quell’edificio è blindato e ci siamo fatti spiegare da un addetto dell’Autodromo cosa fossero le varie stanze. Quando l’ho raccontato a Francesco lui l’ha fatto suo, è stato tutto molto naturale. Mi ha detto “Mi sono divertito da morire!”

Francesco Pannofino

Si ringrazia Ni.Co. Ufficio Stampa

Tutto il lavoro è durato poco più di tre mesi e mezzo, è una tempistica normale per dei documentari?

Non sempre, dipende dal tipo di documentario. Quelli che hanno una data da rispettare in genere hanno tempi stretti. In questo caso nei primi giorni di settembre si celebra il centenario dell’Autodromo e così si è deciso di trasmettere il film il 9 settembre, in concomitanza con il weekend del Gran Premio di Monza. Devo dire che Simone Spampinato, il montatore, ha fatto un lavoro egregio: eravamo io e lui a montare a Ferragosto per poter stare nei tempi! Ma tutto il gruppo ha lavorato davvero bene e si è creata una bella alchimia sul set, data  anche dall’aura positiva attorno a questo circuito.

Francesco Pannofino

Si ringrazia Ni.Co. Ufficio Stampa

 In ultimo ti chiedo una chicca dal set!

Due! La prima riguarda la Flaminia, l’auto d’epoca che guida lo storico e collezionista Mario Acquati. L’idea iniziale era quella che ci avrebbe accompagnato a piedi alla scoperta del circuito, ma alla fine abbiamo deciso di farci accompagnare in Flaminia. Io e il fonico abbiamo dovuto incastrarci nel piccolo spazio dei sedili posteriori per poter girare le riprese!

Un altro momento divertente è stato nelle scuderie con Francesco Pannofino quando è stata girata la parte in cui  viene raccontato come sia stato D’Annunzio ad attribuire il genere femminile all’automobile. Abbiamo girato alcune scene con dei cavalli per tracciare un parallelismo tra il cavallo (animale) e quello delle automobili. Non capivamo perché, ma all’inizio di ogni ciak il fonico si avvicinava ai cavalli e questi sparivano nelle loro nicchie… Al quinto tentativo, abbiamo capito che avevano paura dell’asta del microfono! Allora ha dovuto improvvisare una soluzione e si è avvicinato tenendo l’asta sotto anziché in alto come di consueto. Alla fine abbiamo avuto la nostra inquadratura coi cavalli!

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