di Erika Lacava
La residenza artistica Imgonirmia é giunta quest’anno alla sua seconda edizione. Il bando ha scadenza 10 Febbraio 2017 e si può trovare online sul sito di Imagonirmia e su numerose piattaforme di segnalazioni artistiche. La residenza nasce dalla volontà della famiglia Mantoni di proseguire l’opera di ricerca artistica della figlia Elena, prematuramente scomparsa. Dal bando: “Il punto di vista di Elena era quello di chi, interrogando le zone d’ombra, auspica un’arte complessa capace di restituire pluralità, coro di voci non uniformi portatrici di linguaggi innovativi e civili”. Il Premio Imagonirmia nasce quindi “come atto d’amore verso Elena e la sua ricerca, e come impegno a valorizzare progetti, processi, azioni, orientamenti che pensano l’arte capace di rifondare linguaggi e rigenerare poeticamente il mondo”.
Da questa esigenza di rinnovamento poetico, di dare ascolto all’immaginario, deriva il titolo della tesi che Elena Mantoni discute nel 2011/2012 alla NABA di Milano: “Imagonirmia, processi di decostruzione dell’immaginario e nuove pratiche di riappropriazione creativa”. Il termine, che dà il nome alla residenza, è l’anagramma di “immaginario”, a sottolineare la diversità dei punti di vista, la necessità di invertirli e ribaltarli, di mischiarli collettivamente per dare vita a qualcosa di interamente nuovo. L’esigenza, attraverso l’arte e la creatività, di ripercorrere immaginificamente le possibilità intrinseche del reale e di attuarle sul piano collettivo in una pluralità di passaggi all’azione.
Il primo ambito sentito come principe su cui andare a intervenire per creare arte con la trasformazione è il paesaggio, inteso, così come Elena lo intendeva, nel senso di giardino e bene in comune.
Per questa vocazione del Premio Imagonirmia, la residenza trova la sua naturale espressione e il suo primo collocamento spaziale nel progetto “soglia monastero – cantieri per il giardino planetario” promosso da Terzo Paesaggio, associazione culturale fondata da un gruppo interdisciplinare di professionisti raccolto attorno all’idea del valore del paesaggio come ambito di relazione.
Incontriamo l’ideatore e co-fondatore di Terzo Paesaggio, Andrea Perini.
Anguriera di Chiaravalle, Terzo Paesaggio e la residenza artistica Imagonirmia. Qual è il filo conduttore di questi progetti?
La regia che sta dietro questa concatenazione di progetti é l’associazione culturale Terzo Paesaggio, di cui sono socio fondatore. Ad oggi lavoriamo principalmente nel territorio di Chiaravalle con un progetto pilota, ma non è l’unico ambito d’intervento. Lavoriamo in team e in network con differenti partner che vengono di volta in volta attivati in base ai progetti.
Da quale percorso arrivi e cosa ti ha portato a fondare Terzo Paesaggio?
Io vengo dal mondo del teatro. Come operatore e organizzatore ho lavorato per quasi 10 anni al CRT, Centro di Ricerca per il Teatro, che, prima di spostarsi al Teatro dell’Arte in Triennale, dal 1974 era al Salone vicino a Piazza Abbiategrasso, allora una zona di frontiera tra città e campagna: c’erano il plesso scolastico e la cascina Campazzo, senza metro e immersi in una fitta nebbia. Oggi il Salone ospita Pacta dei Teatri. Entrando, sulle pareti ci sono ancora i manifesti storici della gloriosa stagione del teatro di ricerca internazionale: Living Theatre, Bread and Puppet, Tadeusz Kantor (“La classe morta”) e Jerzy Grotowski. Il fondatore del CRT, il professore Sisto Dalla Palma, erede di Mario Apollonio, ha dedicato molti studi alla drammaturgia della festa e al coro, riflettendo intorno alla convocazione della comunità. Nel 2011, poco dopo la morte del Professore, il teatro è stato riorganizzato completamente ed è in quel momento che, buttato fuori dai nuovi gestori, ho fondato un micro progetto di distribuzione per la scena indipendente.
Pur essendo in due ambiti differenti, il progetto di distribuzione aveva quindi lo stesso nome dell’associazione culturale attuale, “Terzo Paesaggio”?
Sì il nome è lo stesso. Viene dal pensiero del giardiniere paesaggista Gilles Clément, teorico del “Terzo Paesaggio”. Gilles Clément, da giardiniere ed entomologo, studia l’ambiente ma il suo lavoro è diventato una potente riflessione filosofica e politica che travalica la divisione in discipline. Dapprima con il progetto di distribuzione di spettacoli, con uno slittamento di senso, ho provato a trovare l’“altrove del mercato convenzionale”, negli spazi culturali indecisi. Ho iniziato dunque un viaggio attraverso l’Italia, per mappare questi spazi, a bordo di un camper, con l’aiuto di Anna, Valentina e Christel, viaggio che si è concluso nel 2013 a Chiaravalle. In questo luogo altrettanto indeciso, dove la città si confonde con la campagna, ho trovato casa e terreno fertile per i miei progetti futuri. Non mi bastava più la ricerca di un mercato alterativo, avevo bisogno di un nuovo progetto e ho trovato nel disegno del paesaggio un nuovo slancio etico. Il progetto di distribuzione viene così lentamente dismesso e inizia il lavoro sulla rigenerazione di Chiaravalle. Nel 2014 due incontri potenti: Daniela Rocco e la campagna cittadina per fare di Chiaravalle un borgo in transizione, e Marta Bertani, architetto paesaggista, arrampicatrice di alberi. Il progetto Terzo Paesaggio è pronto per cambiare ancora e diventare un’associazione, allargando il team di progetto. Si ricongiungono diverse esigenze e si dà il via a un nuovo slittamento di senso che ha portato al lavoro attuale che intreccia architettura e performance. Marta, come me, trovava che la sua professione, il suo fare architettura non le erano più sufficienti, e insieme abbiamo trovato un progetto complesso in cui riconoscerci.
Ora stiamo approfondendo quello che la ricercatrice Valentina Signore ha chiamato “progetto performativo di trasformazione urbana”. Valentina, in una tesi che non vediamo l’ora di vedere pubblicata, ha studiato differenti casi internazionali di trasformazione urbana, casi in cui un gruppo di abitanti ha guidato il processo, a partire dall’esempio illustre della High Line di New York, in cui un tratto di ferrovia sopraelevata in disuso è diventata un nuovo pezzo di città, risignificato dal basso.
Anche a Chiaravalle c’è una ferrovia dismessa.
La ferrovia passa proprio accanto all’Abbazia cistercense. Nel 1862 Cavour sceglie questo tracciato che ha tagliato drasticamente il rapporto tra borgo e la sua abbazia, allora in abbandono. La linea ad alta percorrenza Milano-Genova è rimasta attiva sino al 2016. Accanto scorre lo storico canale romano Vettabbia, che era ridotto a fogna a cielo aperto. Riqualificato il canale con l’arrivo del depuratore di Nosedo e dismessa la ferrovia, Chiaravalle si riscopre come giardino della vicina città. Alla base del processo di attivazione della comunità di Chiaravalle c’è la stessa idea che ha animato i Friends della High Line: scoprirsi autori di paesaggio, disegnare, abitando, la “trasformazione” del luogo. Ora stiamo lavorando per attivare un Community Hub dedicato al paesaggio. Uno spazio ibrido che si confronta con differenti linguaggi artistici, produce welfare sociale, crea occasioni di lavoro qualificante, racconta e accompagna la trasformazione del luogo, ripensa il cibo e la socialità. Chiaravalle sta diventando a poco a poco un laboratorio sull’idea di città contemporanea, mettendo al centro alcuni temi: l’agricoltura periurbana (il bando Open Agri sull’innovazione agricola appena atterrato sul territorio), il sistema delle acque, le cascine a vocazione sociale, gli scali ferroviari dismessi, i corridoi, la mobilità dolce.
Qual è stato il primo progetto aperto da Terzo Paesaggio su Chiaravalle?
A Chiaravalle era già attivo “Borgomondo per Chiaravalle sostenibile”, una campagna cittadina promossa da un gruppo informale di abitanti. Con Daniela Rocco siamo partiti da qui e abbiamo iniziato a progettare un piano di rigenerazione per il borgo. Abbiamo vinto un bando di Fondazione Cariplo sul protagonismo culturale dei cittadini, puntando sul processo di riappropriazione da parte della comunità dello spazio pubblico allora negato.
Chiaravalle è un quartiere di 1.100 abitanti. Anche se sembra un paesino, è una periferia di Milano, con la particolarità di essere ai margini del Parco della Vettabbia, immerso nel Parco Agricolo Sud. In questo contesto ai margini della città abbiamo dovuto portare dall’esterno i germi del fermento e della novità per scatenare l’immaginazione degli abitanti, forse rasseganti da troppi anni di abbandono.
Quello che mancava al quartiere era una piazza, là dove la piazza è elemento base della progettazione urbana. Abbiamo quindi immaginato di riusare temporaneamente un vuoto urbano. Dall’incontro con Matilde di Strade Bianche è nato un percorso di trasformazione straordinario che ha portato alla rigenerazione del luogo, attraverso un mix di esperienza, impegno e passione. È nata così “Anguriera di Chiaravalle” un dispositivo di socialità che ha accompagnato la trasformazione definitiva del luogo, sino al 2016, quando il progetto si è spostato al circolo Pessina, l’ex sede del PCI ora circolo ARCI, dove è in corso un processo di trasformazione.
Il progetto è iniziato dalla costruzione della piazza coinvolgendo prima, come partner, la scuola di Design del Politecnico di Milano che ha lavorato con e per gli abitanti, che hanno fatto poi loro il progetto. Avevamo bisogno di far succedere qualcosa di significativo, di irrompere nel quotidiano con l’eccezionale. L’“Anguriera” è un luogo timido, dove apprestarsi in punta di piedi, un tempio dell’ipoconsumo, dove assaporare l’anguria di cascina, bere un bicchiere di vino naturale, scoprire il pane vero. Con una programmazione culturale, tra musica, laboratori e esplorazioni.
Scrive Isabella Bordoni, curatrice del Premio Imagonirmia, su CheFare: “È attraverso la convocazione di differenti sguardi, degli abitanti, degli artisti, degli esperti e non esperti, che a Chiaravalle si sperimenta un lento e profondo progetto di disegno del paesaggio, fatto dalla relazione tra interno ed esterno, tra abitanti e non, per lavorare insieme, per gli abitanti e non”. In che modo l’intervento artistico entra in questo processo di rigenerazione urbana?
Come operatori e “city makers” cerchiamo di fare soprattutto regia delle cose che accadono nel territorio. Convochiamo poi gli artisti in nostro aiuto. Accanto alla trasformazione delle infrastrutture, che normalmente sta in capo agli architetti e urbanisti, c’è il come la comunità abita questa trasformazione, che è un percorso che va oltre le pratiche di progettazione partecipata tradizionali. Con un termine preso a prestito dal teatro, Isabella indica con “Drammaturgie urbane” il modo in cui un intervento artistico entra in relazione con la comunità, con il territorio e quindi con la sua trasformazione. Come l’intervento artistico accompagna e provoca la trasformazione, a volte anticipandola. Alessandro Perini (che giuro non essere mio fratello!), vincitore della prima edizione del Premio Imagonirmia nel 2016, è un sound designer che ha mappato il potenziale acustico di Chiaravalle, utilizzando dei microfoni a contatto per “evacuare” il suono interno e più intimo del paesaggio di Chiaravalle. Ha restituito questo suono alla comunità, convocata a piccoli gruppi, in un’esperienza immersiva che ha disegnato insospettati corridoi nel territorio, facendo anche del bellissimo “Turismo”.
Come è nata l’idea di ospitare la residenza Imagonirmia e come entra in connessione con la realtà di Chiaravalle e di Terzo Paesaggio?
Imagonirmia è un’associazione di Treviso che nasce che lavora sull’arte. Realizza, con l’impegno su Chiaravalle, un meccanismo virtuoso perché sostiene il nostro progetto di rigenerazione attraverso il sostegno agli artisti. Questo ci dà la possibilità di portare su Chiaravalle un pezzo in più di “provocazione”, nel senso di maggiori e migliori strumenti per scatenare l’immaginario.
Imagonirmia nasce da un dramma personale della famiglia Mantoni che perde prematuramente la figlia Elena, giovane artista talentuosa, e decide quindi di dare seguito alla sua poetica e alla sua ricerca attraverso il sostegno di progetti artistici. La famiglia Mantoni ha trovato una corrispondenza di senso tra le idee di Elena sull’arte e quello che stavamo portando avanti a Chiaravalle, e attraverso la curatrice Isabella Bordoni, nostra amica e già compagna di avventura, abbiamo costruito questo innesto. Il Premio ha già svolto la prima edizione ed è ora online la seconda call, a cui seguirà poi la terza, sempre a Chiaravalle. L’idea è di uscire dalle preclusioni disciplinari e dei linguaggi. L’artista dovrà avere una particolare predisposizione alle tematiche proposte e proporre una propria ricerca che sia declinabile in situ. Un progetto che trovi in Chiaravalle un momento di crescita e di elaborazione del proprio percorso artistico.
Il tema da sviluppare durante la residenza è quindi il paesaggio in senso lato?
Il tema è il paesaggio, ma certamente non nella forma chiusa che lo relega alla natura. L’apertura è intesa sia verso l’etica e la comunità, sia verso il tempo e la contemplazione. Per ciò parliamo di “spostamento variabile”. Lavoriamo sull’idea di un radicamento e di una comunità che si rapporti al luogo senza chiudersi, proteggersi troppo. Oggi, soprattutto in Italia, l’idea di paesaggio è ancora vittima di un retaggio culturale che ci porta a legarlo alla pittura di paesaggio, alle vedute settecentesche, al “bel paesaggio” e non riusciamo sempre a fare il salto verso l’idea che il paesaggio è il risultato di come l’uomo abita un certo luogo, oltre la natura. Concetto espresso dalla Convenzione Europea del Paesaggio.
Nei dettagli tecnici, quanto dura la residenza e quanto viene messo in campo, a livello economico e logistico, per sostenerla?
La residenza dura un mese circa, ma la durata è variabile sulle basi del progetto specifico. Al vincitore viene assegnata un alloggio ai Frigoriferi Milanesi. La dote offerta è di 2.500 euro per la produzione, più una piccola quota di 200 euro per le spese di viaggio e di 500 euro per il vitto. La cura del progetto di residenza è affidato a Isabella Bordoni che conosce molto bene l’ambito d’intervento e i progetti in corso. Inoltre con Viaindustriae pubblichiamo i Quaderni di Imagonirmia, di cui è un esempio il quaderno dedicato al lavoro di Alessandro Perini.
Cosa resta al territorio terminata la residenza e quali sono i soggetti che intervengono direttamente?
Al termine della residenza ci attendiamo che al territorio rimanga un “lascito”. Nel caso di Alessandro il percorso di 4 installazioni sonore potrebbe essere riallestito e riattivato, anche se naturalmente sarebbe più interessante che il percorso fosse sempre accompagnato dalla presenza dell’artista. Quello che ci interessa è costruire una collezione di sguardi e racconti sul territorio, sul come stiamo abitando questo luogo.
Com’è stata la reazione del pubblico a queste “incursioni” artistiche sul territorio?
Prima abbiamo fatto degli incontri pubblici per presentare il progetto. Alessandro ha poi, nelle sue esplorazioni, conosciuto alcuni abitanti muovendosi anche in modo autonomo e stabilendo relazioni indipendenti dalla nostra mediazione. Alle passeggiate sonore, durante la restituzione, c’era un pubblico eterogeneo, di abitanti e non. Alcuni ragazzini delle case popolari, incuriositi, sono venuti a giocare con le installazioni: hanno fatto un’esperienza inconsueta, misurandosi con un linguaggio inatteso. A livello di relazione è stata un’esperienza che ci ha legato al territorio come prima non era mai successo. Per diverso tempo è rimasta disponibile a Chiaravalle un’installazione per una fruizione fuori controllo. Nei confronti del pubblico, il percorso non dev’essere continuamente diretto. Noi siamo contenti se, in qualche modo, perdiamo il controllo e durante la residenza accade qualcosa di non istituzionalizzato.
A volte noi di Terzo Paesaggio usciamo dal nostro ruolo di “guida” e ci comportiamo da semplici abitanti e fruitori. E oggi, a Chiaravalle, accadono sempre di più gesti artistici spontanei. E questo è un ottimo risultato in termini di vivificazione del luogo.
Informazioni su Terzo Paesaggio e sul Premio Imagonirmia si possono trovare qui: