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Galleria Milano: Shūsaku Arakawa, il colore della mente.

di Noemi Stucchi

Dopo la mostra di Cesare VielCondividere frasi in un campo allargato”, dal 22 marzo al 30 aprile la Galleria Milano riapre al pubblico con una nuova personale di Shūsaku Arakawa, il colore della mente. Continua così il progetto di ricostruzione filologica, recupero e ricerca, che vede riportare all’interno degli spazi di Galleria Milano gli artisti del proprio passato storico sotto una nuova luce. Guardando all’eredità storica e artistica lasciata dal lavoro di Carla Pellegrini e raccolta con impegno e determinazione dal figlio Nicola Pellegrini, nel settembre del 2020 è stato dedicato un reenactment della mostra Falce e Martello di Enzo Mari e nell’ottobre 2021 la personale di Betty Danon. Entrambe le mostre sono state accompagnate da cataloghi monografici editi rispettivamente da Humboldt Books e Kunstverein Publishing Milano (insieme a Galleria Milano) con lo scopo di restituire al pubblico uno studio il più possibile accurato. In seguito i link multimediali alle pubblicazioni:
Enzo Mari Falce e martello
Betty Danon

Untitled, 1964 circa
acrilico, acquerello e matita su tela
186 x 126 cm.
Courtesy Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

Il progetto continua con Shūsaku Arakawa, già protagonista di due personali nel 1983 e nel 2005.
Oltre a una serie di lavori degli anni Sessanta e Settanta, quest’ultima mostra presentava una serie di opere legate all’architettura procedurale realizzate insieme alla moglie Madeline Gins.
In fase organizzativa, Carla Pellegrini aveva incontrato l’artista a New York, testimonianza di cui oggi rimangono registrazioni e preziosi documenti d’archivio. Nel 2018 Carla Pellegrini aveva espresso la volontà di realizzare una nuova mostra e con  Il colore delle mente oggi l’idea prende forma.

Arakawa Galleria Milano

Leonardo’s Chronology, 1967 Olio su tela 183 x 122 cm Courtesy Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

Trasferitosi dal Giappone a New York a soli diciassette anni per incontrare DuchampShūsaku Arakawa (1936-2010) prende parte, in fase giovanile, al gruppo artistico e indipendente degli anni Sessanta chiamato “Neo-Dada-Organizers” per poi distaccarsene in favore di un approccio personale, scientifico e concettuale. Nel catalogo della mostra a cura di Bianca Trevisan edito da Kunstverein Publishing Milano, troviamo alcuni passaggi tratti dalle testimonianze dell’incontro tra l’artista e Carla Pellegrini (di cui vengono riportati solo alcuni estratti):

 «(…) Vivevo in Giappone e mi sono imbattuto nel lavoro di Duchamp, ho ottenuto il suo indirizzo e ho cominciato a scrivergli. Gli ho scritto varie lettere per più di un anno, ma non mi ha mai risposto(…) Arrivato a New York  (…) non conoscevo nessuno. Dall’aeroporto ho telefonato a Duchamp. Quando gli ho detto chi ero, mi ha riconosciuto subito (…) Da allora l’ho visto sempre (…) Durante i nostri incontri, lui che non credeva nella pittura, mi incitava ad essere sempre diverso, ad andare avanti, a reinventarmi, a percorrere nuove strade.»

Dall’influenza di Duchamp all’incontro con Madaline Gins, l’artista sviluppa un vero e proprio spirito teoretico. Uno dei primi lavori insieme a Madeline Gins (divenuta anche compagna di vita) è “Mechanisim of Meaning”, progetto volto all’indagine del significato che verrà presentato alla Biennale di Venezia nel 1970. Una ricerca che mostra, in nuce, quegli elementi che saranno sviluppati nei lavori successivi: citando Bianca Trevisan, si tratta di “punti focali” che vengono tradotti in segni grafici come

«Frecce, tubi, corpi rotanti, lettere e parole a rappresentare il continuo cortocircuito di significazione in cui si incaglia l’uomo.»

Galleria Milano

The S.A Equation Recognized 1996 – 2006, 1962 acrilico, acquerello e matita su tela 260 x 172 cm. Courtesy Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

Sospesi e fluttuanti, gli oggetti sono come “addensamenti” di significazione in contrasto con lo sfondo vuoto. La teoria del vuoto che interrompe il susseguirsi degli elementi, in Arakawa diventa presenza tanto da definire quelle macchie di “non quadro” con il termine “blank” .
Grandi quadri grigi. Attraversando gli spazi della Galleria Milano, quello che si vede a primo impatto è il “vuoto” del grigio dello sfondo, campitura piatta che ricopre la maggior parte della superficie di ogni tela. Pittoricamente parlando, si tratta di una tonalità di grigio che si ottiene dalla  miscela dei tre colori primari e che racchiude, potenzialmente, tutti i colori possibili.

Arakawa concretizza con colore e materia quella che è una vera e propria indagine semiotica e mostra la distanza che intercorre tra l’oggetto, la sua rappresentazione e il suo significato. La tela è un campo in cui tutto è possibile e in cui le regole del significato non seguono quella “logica del senso” tipica della comunicazione verbale. Qui le regole possono essere messe sotto sopra per poterle osservare meglio: decontestualizzare, invertire e associare nuovi significati.

Geometrie, segni, ombre e gradazioni tonali compongono un linguaggio visivo come un vero e proprio “alfabeto” in cui è possibile distinguere alcuni elementi ricorrenti. Ad esempio il bottomless, misterioso e a forma di piramide o la scritta mistake dell’errore percettivo. Siamo di fronte a un sistema di segni e parole in cui è impossibile arrivare alla decifrazione univoca ma che, al contrario, pone interrogativi nella percezione di chi guarda.

Untitled, 1967. Inchiostro, acrilico, matita e vernice spray su tela. 129,5 x 115,5cm. Courtesy Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

In maniera ricorrente la firma e i dati identificativi vengono apposti diligentemente dall’artista all’interno di un cartiglio sul fronte del quadro. Un elemento, quello del cartiglio, che viene spesso usato nella numerazione delle tavole da disegno geometrico per indicare le fasi di sviluppo di un esercizio.
Segni e elementi ci parlano di qualcosa che già conosciamo ma che ora vengono maneggiati dall’artista per mostrarne una diversa funzione. Ad esempio, in Hand or Soft n.2 (1967), vediamo frecce che indicano dei numeri, ma senza motivo apparente. A dircelo è lo stesso autore con la scritta: “these arrows indicate almost nothing rearrange the numbers anyway you like”.

In mostra sono esposte 13 tele dell’artista degli anni Sessanta e due filmati The Mechanism of meaning: Why not con sottotitolo A Serenade of Eschatological Ecology (1969) e For Example (A Critique of Never) del 1971, film doppiato in italiano da Vincenzo Agnetti.

Per arrivare al titolo, siamo di fronte a una pittura mentale. Citando Italo Calvino:

«Guardando un quadro di Arakawa cosa mi viene in mente? La mente (…) Un quadro di Arakawa sembra fatto apposta per contenere la mente, o per esserne il contenuto. (…) Le frecce e le linee e le parole, quando escono dal margine del quadro, dove vanno?»

Uno spazio, quello della tela, per rendere visibile e concreto lo spazio del pensiero.

Next to the last, 1967-1971, Serigrafia 79 x 117 cm, Ed. 65/75 firmata. Courtesy Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

 

Shūsaku Arakawa
I colori della Mente

Galleria Milano
22 marzo – 30 aprile.

Via Manin 13, Via Turati 14 – 20121 Milano
02-29000352 
info@galleriamilano.com

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