Da un’ idea di Micaela Solbiati
Articolo a cura di Marta Tonetti e Ilaria Mozzambani
I due fratelli, Guido e Sandro, sono profondamente legati alla storia e alla cultura della città di Milano anche per la loro singolare vicenda familiare. Figli di Enrico, celebre storico e critico della Pittura italiana dall’800 e, per parte di madre, nipoti di Cesare e Guido Tallone, protagonisti della Scapigliatura e della Ritrattistica lombarda a cavallo fra ‘800 e ‘900. I due fratelli hanno preso parte in prima persona al clima culturale che in quel periodo aveva il proprio centro attorno al leggendario “Bar Jamaica” e alla Galleria Milano, fondata per altro dagli stessi artisti nel 1964, insieme a Gianni Dova, Aldo Bergolli, Mario Rossello e molti altri.
L’esposizione “ Distanza e prossimità” , di Guido e Sandro Somarè, ideata e curata da Nicoletta Pallini, nel 2006 rientra nel ciclo di rassegne “Maestri a Milano”, avviato nel 2003 per far conoscere al grande pubblico gli autori che hanno contribuito a qualificare il capoluogo lombardo come uno dei grandi centri artistici internazionali.
Dopo un’ infanzia “scapigliata” e un tantino “selvaggia”, i Somarè presero a vagabondare da una casa all’altra fra Milano e la campagna piemontese e lombarda, a causa dei traslochi con il padre. E proprio quel loro vagabondaggio è diventato fondamentale all’interno della loro poetica.
Esempio ne è l’ architettura all’interno dei loro dipinti. I temi comuni della loro pittura sono spazio, tempo, luce. Troviamo spesso come soggetti case e souvenir indimenticabili dei loro infiniti traslochi. La luce, nel suo irradiarsi, si amalgama con l’immaginario, crea e da luogo ad una dimensione dello spazio. In entrambe le pitture, nei toni usati, si può notare una sottile nostalgia.
“Mi piace tutto di Milano, anche la periferia che frequento quando porto i cani…ed ecco i cieli al limitare della città, con costruzioni indefinite.”
Questa frase di Sandro coglie in pieno la loro poetica.
Il loro è un universo altro rispetto alla pittura italiana del loro tempo. Si può avvertire l’eco del surrealismo alla Magritte, di Victor Brauner, di Sebastian Matta riferendoci a Guido, mentre nei colori di Sandro, in particolare l’ultimo ciclo pittorico ispirato a Holderlin e ai romantici tedeschi si sprofonda nel blu, che riporta a Klein e a Matisse. E’ anche il blu dei cieli di Parigi, degli orizzonti della Grecia e della Toscana. Non distante, ma vicinissimo a noi, quasi incombente.
Un colore che si può toccare.
E’ una pittura colta e densa di riferimenti lettarari e poetici, ironica e sapiente.
Il contributo di Guido all’arte italiana e non, arriverà con l’invenzione e la collocazione in un “suo” spazio di fanciulle adolescenti, di ragazze colte nell’attimo fuggente, ritratte in piedi, tra due porte, dietro al buco di una serratura.
Le ragazzine di Guido sono “signorine di buona famiglia”, non ancora uscite dal collegio, per lo più ritratte in uniforme, sedute compostamente o meno a seconda dei punti di vista, sul divano di casa, intente a leggere o a guardare la televisione. Le “signorine” di Guido trasudano una sensualità innocente. Dagli anni settanta sino alla fine, il tema della donna gli sarà sempre caro, alternato a quello della natura, del paesaggio, della citta’ di Milano, sul cui sfondo ci sono sempre adolescenti che giocano, danzano e inseguono la loro giovinezza.
Nel suo lavoro, alcuni elementi di arredo, quali il letto, le lenzuola, sono spesso solo suggeriti.
Guido è infatti un maestro del “non detto”, del “suggerito”. La sua arte è del nascondere più che del rivelare.
Guido è un attento e appassionato illustratore di testi poetici e racconti. Nel suo universo sfaccettato trovano spazio anche i giochi-puzzle-labirinti inventati per i figli Grata, Giuseppe e Olivia, le incisioni di inviti e segnaposto in metallo per le cene con gli amici. E’ presente quindi una forte componente ludica nelle opere di Guido.
Presenza e assenza, nelle sue opere. Presenza di una Milano amata fin dai tempi del bar Jamaica quando tutto era in comune, amici, bar, conoscenze, scrittura, pittura, bevute e partite di pallone.
E’ proprio dagli incontri al bar Jamaica, che con il fratello Sandro nacque l’idea della Galleria Milano aperta nel 1964, gestita da Carla Pellegrini.