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INTERVISTA A PIERO MARANGHI per “AIDA”

19 Dicembre 2016
2.096 Views
Di Miki Solbiati e Carlo Schiavoni 

Nel 2004 assumi la direzione di Sky Classica. Possiamo ripercorrere, per i nostri lettori, le tappe di crescita di un canale atipico nel panorama televisivo e che offre arte e bellezza ad una platea potenzialmente vastissima?

“Mi sono occupato di Classica dal 1996 al 2001, poi ci sono stati due anni di interruzione per poi ripartire nel 2004. La crescita del canale si può paragonare a un diesel, ovvero è stata lenta. Sempre di più il canale ha allargato il bacino dei suoi telespettatori, direi, in due direzioni: uno, conquistandoli creando uno spazio di televisione diversa rispetto a quella che è l’offerta generale; due, allargando sempre di più le potenzialità, nel senso che il canale è nato, come un canale a la carte, a pagamento, da aggiungere all’abbonamento all’inizio di TELE+, in seguito di Sky. Poi, dal 2014 c’è stata una svolta per noi epocale: il canale è diventato un canale aperto a tutta la piattaforma di Sky e quindi guardabile da una platea di circa 15 milioni di telespettatori, che non vuol dire che ci siano 15 milioni di spettatori che guardano Classica ma vuol dire che 15 milioni di telespettatori italiani possono inciampare in Classica; possono, cambiando e scorrendo i canali, cadere in un canale come il nostro (Sky Classica) che deve essere visto per essere capito, perchè non ha dei riferimenti altri all’interno della televisione generalista o delle altre televisioni tematiche, se non in alcune piccole aree. Il nostro canale è interamente dedicato a tutto il mondo della musica classica 24 ore al giorno. Inoltre, sempre nel 2014, il nostro canale è passato in HD o full HD passando dall’area canali 700 a quella dei canali 100 che sono quelli con il più alto tasso di visibilità (canale 138, ndr): nel senso che dove stavamo noi prima era molto difficile arrivare per i telespettatori, ma dove stiamo adesso è più facile appunto cadere sulla nostra frequenza.

Poi abbiamo fatto tante iniziative significative come: le dirette, gli speciali, il coinvolgimento anche di personaggi che non sono necessariamente legati alla musica classica ma alla cultura in generale; le collaborazioni con Fabio Fazio, l’editoria; i collaterali. La cosa più importante che mi sembra di poter dire è che Classica è un canale autorevole; per i professionisti, il pubblico della musica classica, il pubblico anche non classico. Abbiamo tra i nostri sostenitori uomini del mondo dell’impresa, della politica e della cultura. Paolo Conte, il noto cantautore, rilasciando un’intervista, ha dichiarato che quando sta a casa e guarda la tv guarda molto Classica. Un nostro grandissimo fan in passato era il compianto Umberto Eco. Però ancora su Classica puoi vedere un’intervista a Toni Servillo, puoi vedere un programma con Jovanotti o Antonio Albanese. Quindi abbiamo una certa apertura e trasversalità.”

Foto di Mario Finotti © Fondazione Teatro Coccia di Novara

Foto di Mario Finotti © Fondazione Teatro Coccia di Novara

 

Dal 2008 ti occupi della gestione tramite Skira Classica, del La Scala Shop, com’è strutturato? Se vuoi parlare del tuo shop alla Scala…

“Abbiamo preso la gestione dello shop in un periodo piuttosto difficile per la cosiddetta regalistica. Abbiamo cercato di creare un’offerta di grande impatto emotivo utilizzando immagini delle locandine, degli spettacoli e immagini del teatro e delle sue stelle, prima fra tutte la Callas, ma anche di molti grandi artisti. Si scava nella nostalgia…

Nel fare questo lavoro hai la fortuna di calarti nella memoria del teatro e di scoprire quante cose eccezionali vi sono accadute, per cui, che ne so io, entri nell’archivio fotografico a ti imbatti in una foto di Ingrid Bergman che interpreta la Giovanna D’Arco di Honnegger con Rossellini, il Maestro Gavazzeni o altre cose: Hitchcock da solo in platea, la Callas al trucco, certamente e colpisce sempre la ricchezza che il teatro ha nella sua storia dei suoi interpreti, dei suoi compositori; le prime che sono state fatte alla Scala; una forza che non è sempre scontata. Per esempio una cosa che abbiamo imparato in questi anni è quanto La Scala, che è certamente teatro di Verdi, diventi soprattutto e poi ancora teatro di Puccini, di Rossini, e quanto la Scala sia anche grandemente teatro di Wagner, l’autore più antitetico rispetto al campione del melodramma come Verdi. E quindi cosa abbiamo fatto? Abbiamo portato queste locandine e queste immagini nei prodotti: le abbiamo usate per fare le carte da gioco, per i grembiuli da cucina. Di fianco a questa attività naturalmente abbiamo cercato di dare valore al patrimonio artistico e storico del teatro con una serie di produzioni editoriali, audio e audiovisive che facessero ancora emergere l’importanza delle numerose tappe artistiche del teatro che sono rimaste nella storia dell’interpretazione mondiale. Quando tu pensi alla Traviata di Visconti e Giulini con la Callas, pensi a una svolta nella storia del teatro e quindi abbiamo pubblicato delle collane dedicate a questi grandi momenti; abbiamo prodotto dei vinili in edizione speciale per il mercato americano sino ad arrivare al 2015 per EXPO e a questo importante film che si chiama “Il tempio delle meraviglie”, che racconta la storia del teatro con anche una parte fictionale, fotografato in maniera sublime da Luca Bigazzi e con la regia di Luca Lucini. E’ un film che ha fatto il giro del mondo e ha portato questa testimonianza della storia del teatro dagli Stati Uniti alla Corea passando per la Germania, il Sud Africa e il Sud America. Crediamo di aver fatto un servizio al teatro e alla città.

Lavorando in questa materia per la Scala, sono arrivato alla conclusione che la forza, la grandezza e l’unicità del teatro siano legate ai personaggi unici, irripetibili che lì hanno trovato la loro casa: Toscanini, Domingo, Abbado, Barenboim, Muti. Pochi teatri al mondo possono vantare un livello così alto, forse nessuno. Infine secondo me, la ragione di forza del teatro, che è stato appunto il teatro di Verdi, di Rossini o di Puccini e di tanti altri grandissimi, la vera grande forza, il segreto più profondo della Scala sta in Milano, perchè nella Scala si riverberano quelle capacità di laboriosità, ingegno, stile che sono tipiche della cultura meneghina.

Quando nel palcoscenico si apre il sipario, c’è quel senso di meraviglia che difficilmente trovi in altre case d’opera nel mondo: io credo che lì ci sia proprio l’espressione di una qualità milanese, di una qualità del bello che è tipicamente della nostra città.”

Foto di Mario Finotti © Fondazione Teatro Coccia di Novara

Foto di Mario Finotti © Fondazione Teatro Coccia di Novara

Perché una regia di teatro a due, tu e Paolo Gavazzeni?

 “Io con Paolo lavoro da sempre. Abbiamo fatto nascere Classica insieme: parlo del ’96 appunto. Poi abbiamo fatto tante altre cose o cose diverse: lui è stato tanti anni al Teatro della Scala, poi all’Arena di Verona come direttore artistico. Alle tante offerte di dirigere la regia di un’opera ho detto tante volte di no; poi, ad un certo punto, ho pensato che l’avrei fatta volentieri a condizione che Paolo avesse voluto lavorare con me. Paolo Gavazzeni ha accettato, con immediatezza, con entusiasmo, la mia richiesta, allora mi sono sentito in grado di farlo. Senza di lui non l’avrei fatto. Abbiamo lavorato bene, con rispetto per l’opera e non con timore perché pensiamo tutte e due che i lavori non si possano inventare. Quindi abbiamo cercato di mettere a frutto un’esperienza molto

solida; quella straordinaria di Paolo, essendo stato egli, direttore artistico del teatro che si identifica maggiormente con il titolo di Aida, l’Arena di Verona. Conosceva quel titolo in maniera molto profonda e in più Paolo viene da una tradizione familiare che su quel titolo ha espresso, con il nonno Gianandrea Gavazzeni, uno dei momenti più alti della storia della Scala: parlo dell’Aida degli anni ’60 con la regia di Zeffirelli e le scene di Lila De Nobili, che è rimasta scolpita nell’immaginario collettivo. Quindi ci siamo mossi con rispetto; abbiamo studiato e lavorato all’unisono. Soprattutto penso che questa sia stata la ragione più profonda del successo che questo spettacolo ha ottenuto. Non voglio montarmi la testa: di fatto è stata aggiunta una recita, cosa che non avviene quasi mai in un teatro italiano: la replica è andata esaurita.

La nostra regia è assolutamente rispettosa, coerente, dettata dalla musica. Quando hai un dubbio e non sai cosa fare o non sei certo di quello che stai facendo, devi sempre ritornare alla partitura e al testo. Se tu fai questa cosa, non hai fatto tutto il lavoro certamente, però diciamo che hai già compiuto un passo molto importante. La nostra è stata una regia musicale. Credo poi che sia giusto dire che il direttore d’orchestra Matteo Beltrami e il cast hanno avuto un ruolo decisivo in questo successo da condividere. Abbiamo lavorato tutti nella stessa direzione. E’ stata un’esperienza bellissima, ci è piaciuta tantissimo. Penso di poter dire che faremo ancora delle regie. Posso affermare che ci sono già dei progetti perchè abbiamo ricevuto delle richieste, delle offerte. Ci stiamo ragionando…”

Aida è legata nell’immaginario del pubblico, all’Arena di Verona e alla spettacolarità della scena del trionfo. Eseguire Aida in un teatro dalle dimensioni più raccolte come il Teatro Coccia di Novara, consente di riscoprirne gli aspetti più intimisti. E’ vero?

 “Sì è vero. Guardi io penso questo: il genio di Verdi sta anche in questa sua capacità di espandere, oltre ogni possibile immaginazione, l’impatto del secondo atto sul pubblico. Il trionfo è, per definizione, qualcosa di enorme per quello che accade: le comparse, i figuranti, i ballerini, i trofei; a Verona, cavalli ed elefanti in scena. Quindi qual è il genio di Verdi? Verdi tutto questo lo fa perchè poi diventa ancora più forte, agisce ancora più incisivamente, la solitudine dei protagonisti dell’opera nell’atto immediatamente successivo, cioè quello del Nilo. Il trionfo a Novara l’abbiamo risolto in maniera molto semplice, usando anche la platea e abbiamo fatto un trionfo abbastanza sobrio anche perché non potevamo immaginarci di fare cose apocalittiche, da Guerre Stellari. Dopo di che ti rendi conto, mentre stai in questa materia teatrale, che proprio la funzionalità del trionfo sta tutta nel sottolineare la solitudine di Amneris, di Aida, di Radames e di Amonasro: la solitudine dei personaggi, che è la vera essenza, la vera grandezza di Aida anche dal punto di vista musicale. Il terzo atto è di una bellezza assoluta.”

Vi è un atto in Aida, che preferisci agli altri? Un personaggio che per forza drammatica sovrasta gli altri?

 “Mah… l’atto che forse amo di più è quello del Nilo… quindi il terzo… anche l’ultimo… però il terzo è un atto di una forza straordinaria. Mi piace molto tra l’altro dal punto di vista musicale tutta la parte del duetto di Aida con suo padre, Amonasro. Il personaggio infine che io trovo più interessante per l’evoluzione durante l’opera è il personaggio di Amneris. Anzi noi abbiamo cercato di rappresentare una sorta di triangolo dove Amneris aveva un punto di vista un po’ più arretrato rispetto a Radames e ad Aida. In fondo diventava lei, il centro delle azioni. Abbiamo anche avuto la fortuna di avere un ottimo cast; tutti hanno assecondato al meglio le nostre richieste. Questo mi ha molto colpito perchè Aida, Alexandra Zabala, debuttava nel ruolo. Per esempio, Radames, Fraccaro, l’ha fatto alla Scala o a Berlino con Barenboim. Malgrado ci fossero due debuttanti, è stato di una disponibilità, di una professionalità straordinaria. Però direi che è Amneris, il personaggio che ci ha colpito, fin dall’inizio, di più.”

Aida è stata l’occasione per scoprire il talento del Maestro Matteo Beltrami, l’eccellenza del Conservatorio cittadino, così some della protagonista, di tecnica sicura e squisito timbro lirico, Alexandra Zabala. 

“Sì, bisogna fare i complimenti ad Alexandra Zabala che ha cantato benissimo, ma anche a tutti gli altri componenti del cast che hanno lavorato ad un livello altissimo.”

Da sinistra Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi

Da sinistra Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi

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