di Cristina Ruffoni
“Sará che non ho soldi per comprarmi la Gioconda ma nemmeno un misero Boccioni, un De Chirico, un Pollock, che la mia collezione è andata sempre più specializzandosi in frammenti, quelle cose non finite e buttate lì, bozze, per lavori o note, per caso, fatte per sé o per far felice un’amante, qualcuno per cui quello contava, momenti privati, una idea improvvisa, una immagine senza scopo, qualcosa che viene e quasi non si pensa, destinato al cestino, all’oblio o all’archeologia…”
Paolo Tonini
Bruno e Paolo Tonini, fondatori e creatori nel 1980, dell’Arengario, si definiscono librai artigiani, con un particolare interesse per le avanguardie, i libri d’artista e la cultura della protesta. In quest’ottica, si allineano allo sguardo trasversale e ambiguo di Duchamp e a una pratica più concettuale dell’arte contemporanea, rispetto al mestiere e all’abilita tecnica del passato. Da un punto di vista estetico, la Roue de bicyclette (1913) o la Porte-bouteilles (1914), erano oggetti di scarto, non perché logori o deteriorati ma per il fatto che non avevano più la loro funzione pratica, oggetti che diventano arte, in quanto prescelti da un artista ed esibiti in un luogo adibito all’esposizione di opere d’arte. I suoi ready-made, potevano essere assemblati, replicati e comprati in un mercatino da chiunque, ci teneva a sottolineare Marcel Duchamp, che riproducendo lui stesso queste opere, metteva in crisi anche il valore economico dell’opera d’arte come originale.
Il ready-made è la prima riflessione “estremista” sull’arte, preludio a ciò che diventerà il concetto di anti-arte, rivelatrice della sua decisione, di abbandonare la pittura ma non la creazione artistica, per giocare a scacchi a Central Park o passeggiare per New York: egli farà della sua stessa vita, del suo comportamento nel mondo, un’opera d’arte. E questo atteggiamento troverà in Dada un naturale e rapido sviluppo.
Nel corso delle serate Dada, al Cabaret Voltaire, poeti e pittori reciteranno poesie, allestiranno spettacoli di teatro danza, presenteranno opere plastiche, esposte in modo provocatorio, tanto da suscitare sdegno e scandalo clamorosi. I linguaggi verranno a fondersi e ciò che era creazione individuale diviene prodotto della multidisciplinaritá: il poeta é tipografo, il pittore é poeta, sono richieste tutte le tecniche. Attraverso questo rimescolamento delle categorie si esprime l’opposizione all’ordine costituito.
Da allora ad oggi, alla pittura e alla scultura, si aggiungono ormai fotografie, film, installazioni, azioni, performance o happening. Prima di Duchamp e dell’avanguardia Dadaista, non si può ignorare in questo senso, la rivoluzione futurista, asseriva infatti Marinetti, che “il Futurismo, come tendenza antitradizionale, rinnovatrice e stimolatrice, è vastissima, ha gradazioni infinite e abbraccia una grande varietà di temperamenti”.
Questa conoscenza diramata e multiforme, fa capo principalmente a Tommaso Marinetti, al suo ingegno eclettico, anche come animatore e coordinatore di ogni ricerca futurista.
E’ a lui e ai suoi scritti, che dobbiamo principalmente, la varietà del Futurismo, che costituisce la sua forza centrale ed essenziale, proprio per aver lui stesso promosso e creduto alla reciproca confluenza di tutte le espressioni artistiche, senza gerarchie e al diretto rapporto con la vita. “Il Futurismo intende la creatività come tuffo nella vita e l’arte come vitalità”.
Il futuro dei futuristi é l’ignoto, il non ancora sperimentato, perciò l’aeroplano ma anche l’inconscio, l’individuo che vuole vivre sa vie, come scriveva Marinetti, citando il motto della banda Bonnot!
Bruno e Paolo Tonini, partendo dagli anni trascorsi dietro le bancarelle, fino all’archivio/studio a Gussago, per arrivare a sostenere la recente apertura della 17.2 art Gallery a Brescia, da principio, si concentrano sui numerosi documenti dei Manifesti futuristi, per poi, transitare dal Dada al Bauhaus, dal Pop alla Beat Generation, fino al Design e al Concettuale, perfino alla Land Art degli anni 60/70’, ribadendo l’idea di “integrazione” dello spettatore o della poesia, “che ha bisogno di essere vista”, fino al radicale cambiamento della concezione dello spazio, principi espressi dal Futurismo, quando vengono sintetizzati nella simultaneità e nella citazione: “noi porremo lo spettatore al centro del quadro”.
Uno degli esempi, di questo dirottamento e convinzione del libro come opera d’arte, può essere considerato il progetto realizzato: I libri di Ettore Sottsass di Bruno Tonini con lo studioso di libri d’artista, Giorgio Maffei, un volume che raccoglie le riviste e i libri che Ettore Sottsass ha scritto, illustrato o curato nell’arco di sessant’anni, dal 1947 al 2006. Opere su carta stampata, realizzate apposta, in cui Sottsass ha realizzato testi, illustrazioni e invenzioni grafiche, dal Gruppo Menphis alla Rivista Terrazzo, come lo stesso autore ha raccontato: “Intanto, piano piano, mi sono drogato con il piacere speciale che uno può avere a stampare libri, a depositare un pò della vita propria o di chiunque altro sulla carta stampata….”
Il ciclostile, I volantini e i manifesti, sono le espressioni naturali e tra le più innovative dei movimenti e delle manifestazioni di rivolta e propaganda di una cultura della protesta. La stessa espressa da Gramsci nei Quaderni del carcere: “uno degli ideali, piú comuni, é quello di credere che tutto ció che esiste è naturale esista”. La Beat Generation, le fotografie di Tano D’Amico, i fumetti di Andrea Pazienza e le ricerche verbo visuali di Nanni Balestrini o Il mio ’77 di Pablo Echaurren, sono solo alcuni degli esempi, del materiale, da voi raccolto e ricercato in questo senso. Nell’era del digitale e dello spettacolo, percepite un’urgenza alla testimonianza, verso la traccia, la permanenza della parola e un recupero del senso della storia?
Non c’è nessun senso da recuperare, il senso lo produciamo ogni giorno tutti insieme e ciascuno con la propria destinazione, più o meno scelta, più o meno terribile, più o meno felice: il senso non è una cosa che sta fuori è quello facciamo, come l’amore. I documenti non sono che una traccia, come lei dice, e io non so quanto urgenti siano né a che servano. A me semplicemente piacciono certe storie, certi libri, certe persone, e di questo ho fatto un lavoro, di questo mi sono permesso, ho avuto e ho la fortuna di vivere. La storia come la conosciamo passa sopra agli individui – questo è il suo orrore (la sua natura preistorica): le avanguardie di ogni genere, le rivolte più disperate e la ricerca della bellezza sono l’espressione di individui che non vanno d’accordo con la storia e lasciano tracce indelebili della loro discrasia. Quelle cerco e condivido.
Nel caso della Land Art, se non ci fossero stati cataloghi, fotografie e annotazioni, molti interventi, volutamente effimeri e deperibili, sarebbero scomparsi. Christo ad esempio sostiene che i suoi disegni preparatori e bozzetti, concentrano la vera parte creativa e la reale libertà espressiva, senza vincoli o l’ingombro della Natura. Compito del mercante, dello storico e del gallerista, é anche conservare la memoria e il senso della creazione artistica, sostando sulla soglia incandescente tra visibile e invisibile. In fondo, molti di questi documenti, sono come delle lettere private, delle fotografie in bianco e nero, delle storie frammentate, da raccontare e conservare, che attutiscono il senso del possesso dell’oggetto. Una collezione da portare in una valigia, con un lato ironico e infantile, con un valore più intimo e segreto, che riabilita e nobilita anche il ruolo del collezionista?
Ho avuto la fortuna di vedere collezioni che mi hanno impressionato proprio per questo aspetto, in particolare modo quelle in cui il collezionista si è trasformato da ricercatore/accumulatore in studioso e curatore. Posso garantirle che la compotenza di questi appassionati non è inferiore a quella di celebrati studiosi e per certi aspetti è anche più interessante se pensiamo appunto che in ambiti artistici come la Land Art o la Performance, le raccolte di “documenti” – incluso in questa definizione tutto ciò che si è prodotto a stampa – sono le sole testimonianze che restano a documentare un determinato fatto artistico.
Giampiero Mughini, in uno dei suoi libri: La mia generazione, scrive che il nostro secolo, quello italiano é il Novecento. Il secolo dei manifesti pubblicitari, dell’invenzione della “casa moderna” di Gio Ponti, del razionalismo in architettura, del primo e del secondo futurismo, della pittura metafisica, di fotografi come Ugo Mulas e di Bruno Munari e di maestri assoluti come Ettore Sottsass e Gaetano Pesce. Come possono i nuovi collezionisti dimenticare tutto questo e concentrarsi spesso su tendenze di mercato e mode effimere?
Chi può antivedere se le attuali mode e tendenze di mercato saranno effimere o no? Risposta non c’è o forse chi lo sa perduta nel vento sarà. Posso solo dire la mia esperienza personale: quando avevo vent’anni mi ostinavo a creder morta la letteratura dopo Proust, Musil e Joyce, e che le arti plastiche fossero non altro che decoro: ero semplicemente ignorante. Non che oggi lo sia meno, ma certamente sono guarito da quell’ostinazione. A fondamento di tutto c’è lo stile, il gusto che ciascuno trae con fatica dall’esperienza per un po’ di felicità e una vita inimitabile. Fra le tracce di cui parlavamo ci sono sempre itinerari possibili come anche sentieri interrotti.
Perseguire il vostro scopo, significa un impegno assoluto di ricerca delle fonti e un lavoro continuo a livello bibliografico, per mantenere un livello assoluto simile al progetto da voi edito, come Grafica e Industria (graphics and industry) raccolta di cataloghi commerciali progettati per aziende italiane di design dal 1906 al 2002, opera pubblicata in occasione della mostra del 2015 a Parigi, presso la Biblioteca des Arts Decoratifs. All’estero, c’é piú consietudine, collaborazione e apprezzamento per queste operazioni rispetto al nostro paese?
Purtroppo questo è quel che accade, molti dei nostri progetti di ricerca documentale hanno trovato sbocco all’estero invece che in Italia per il disinteresse delle istituzioni pubbliche, spesso bloccate dalla mancanza di fondi o dal disinteresse e l’incuranza dei funzionari che le dirigono. A parte pochissimi casi di Biblioteche, Fondazioni e Musei nel nostro paese a mantenere viva l’attenzione per questi materiali sono alcuni collezionisti che con grande intelligenza li raccolgono, conservano e promuovono privatamente.
Un artista come Josef Albers, associato alla Op art, è invece da voi assimilato a Frank Stella, questi artisti hanno cercato di ridurre allo zero l’aura del linguaggio artistico, hanno lavorato per disinnescare il più possibile l’elemento stilistico convenzionale che giustifica l’opera come tale, per lasciarla emergere come fenomeno puro, esperienza immediata. La vostra opera di ricerca, innesca a volte, anche un’avventura d’interpretazione e di nuovi punti di osservazione?
Sì.
C’é un ritorno alla scrittura, quindi anche ad una rivalutazione della Poesia Visuale, associata a una ricca e importante documentazione teorica, oltre alle opere su carta. L’esibizione delle idee, ciò che Kant dichiarava impossibile, un’estetica del pensiero e questo ha potuto aprire nuove possibilità, in artisti quali ad esempio i britannici Terry Atkinsons e Michael Baldwin, che scrivono saggi teorici proponendoli come opere d’arte concettuale. In fondo, la distinzione che voi evitate e la volontà di considerare la teoria e la pratica intellettuale e critica come arte?
Non so di ritorni e soprattutto di ritorni che non deludano, ma questo ho imparato: che la poesia si fa da sé. Da sé si dà le coordinate, gli strumenti, i fini. Che non ci sono confini tra le cosiddette arti se non il discrimine della poesia, l’emergere della tenerezza per tutto quel che è destinato a svanire.
Destinare l’archivio a Gussago e l’apertura della 17.2 art gallery, diretta in modo autonomo se pur convergente da Alessandra Faita, innescano nuove sinergie e novità, anche se dovranno passare almeno due anni, prima di programmare interventi site-specific, limitati al periodo espositivo, in ambito principalmente contemporaneo. Un ulteriore ponte con Milano, anche se l’Arengario collabora già con galleristi come Guenzani. Cosa consigliate a un giovane, oltre allo studio, che parte dalle bancarelle per sognare un’attività poliedrica come la vostra?
Prima di tutto si deve coltivare una grande passione per libri e materiali cartacei, senza questa inclinazione ogni cosa diventa difficile. Lo studio è altrettanto importante perchè aiuta ad indirizzare e sostenere la passione verso l’approfondimento e la specializzazione. Poi ci sono la curiositá, la voglia di fare e l’ambizione…