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Michael Frank

Sentirsi al mondo, Intervista a Michael Frank

17 Ottobre 2018
1.234 Views
di Cristina Ruffoni

“Avevo imparato a sostenere il punto di vista dominante con estrema bravura perchè era chiaro che qualunque forma di dissenso, di pensiero indipendente, di gusti divergenti, (l’ultimo Fellini, il Bergman più oscuro, Il sole sorge ancora, Jackson Pollok, le mummie!) non faceva crescere la mente e minacciava di porre fine alla conversazione, se non addirittura al nostro rapporto…”

I formidabili Frank – Michael Frank

I formidabili Frank, è la vera storia di una famiglia e come tale, si trasforma
per il suo autore Michael Frank, in un memoir ininterrotto, in una verità da ascoltare e in un’autoanalisi profonda. E in questa dimensione, che non comprende più speranze o disperazioni, incomincia il dialogo clinico.
Chi scrive, nonostante l’efficace eleganza della scrittura, non si presta all’ipnotico
gioco della parola, che sorvola danzando sull’insesatezza della vita, declina invece il racconto in comunicazione, rendendo la memoria e l’identitá, i veri protagonisti del romanzo.
Nessuno sfogo o retorica ma una apertura, un’interrogazione, che non contengono nulla di stabile o rassicurante, perchè sfiorano l’abisso, poichè, se si ha il coraggio di approfondire la propria biografia umana e culturale, si ha anche la speranza di avere a che fare con la verità, con i suoi limiti e le sue contraddizioni.
Certo, i colpi di scena sono interiori più che tradursi in azioni e i dialoghi con la zia Hank, non sempre facili, ma rivelatori di una serie di immagini e di sensi, che consente a chi racconta e a chi legge, di sentirsi al mondo.
“Tu non vuoi essere ordinario vero? Non vuoi integrarti? Integrarsi è la morte. Ricordatelo. Devi distinguerti dai tuoi amici. Sempre.” Bastano questi frammenti del discorso intercorso, per intuire che alla base del  rapporto tra nipote e zia, persiste il turbamento. Una seduzione e una passione patite, una inalienabile ambivalenza, che svelano l’illusione del controllo, smascherano e hanno a che fare sempre, con la propria solitudine.
Quando lo scrittore, ancora oggi, oscilla tra il passato e il presente, tra il vicino e il lontano, è sempre il passato, è sempre il lontano ad avere il sopravvento,  non per creare ulteriore  sofferenza o dilatare la nostalgia ma per trovare ristoro e quiete. Non è possibile nessuna creatività, trovare pace nella scrittura, se non dopo la consapevolezza del  disorientamento e l’inquietudine della rivolta.
Il finale è spiazzante, il protagonista rinuncia all’oggettività, per affidarsi ad una rappacificata  rinuncia a dare un resoconto su “come stanno veramente le cose.”

Nel libro, gli zii, vengono definiti come: “la scuola principale della mia giovinezza”.  Si possono spiegare meglio le dinamiche innescate di questa intrigante manipolazione?

Irving Ravetch e Harriet Frank Junior, i miei zii, erano due sceneggiatori molto colti e mondani. Avevano una gerarchia culturale personale nella quale c’era sempre il migliore scrittore, poeta, pittore, musicista.  Per essere invitato—e ammesso—a questo loro mondo magico, uno doveva andare quasi sempre d’accordo con le loro opinioni.  Da una parte ho ricevuto un’istruzione straordinaria; dall’altra ho imparato da giovane che sviluppare, ed esprimere, le proprie opinioni può essere pericoloso, perchè se non andavi d’accordo con gli zii, rischiavi essere espulso dal loro mondo.

“Due maghi del racconto privi di interiorità”. Alla fine, si rende esplicita nonostante tutto, l’essenza umana dal lavoro di due famosi sceneggiatori dell’Hollywood degli anni 50’ e 60’?

Con quella frase intendevo semplicemente dire che gli zii non hanno mai—mai—scritto di loro stessi, delle loro vite, del loro passato, o delle loro famiglie, che a me sembrava molto strano, soprattutto perché erano due personaggi così complessi con tante cose da raccontare—e da interpretare.

Nonostante la tua ossessione per il dettaglio quasi proustiana, come scrittore, discendi inevitabilmente dalla malinconia di Salinger e dal  realismo visionario di Raymond Carver. Come coniughi il tuo amore per la cultura europea e quella americana?

Dietro di me, come con tanti scrittori, c’è tutto quello che ho letto, la letteratura americana e europea entrambe, fin dalla mia gioventù.  Ci sono tante voci che dovevo proprio ascoltare, anzi assorbire; poi dovevo cercare di dimenticarti di tutto (e tutti!) e trovare il mio proprio approccio.  Non è facile.  Quando stavo scrivendo I Formidabili Frank, ad esempio, non ho mai aperto Proust—sarebbe stato troppo contagioso.

Arthur Rimbaud, nella sua personale discesa agli inferi e non solo la sua rappresentazione come nel caso di Dante, ci assicura che poi, è possibile la salvezza. E’ ancora possibile, un ordine poetico, trovare un senso,  in un mondo che sembra destinato all’autodistruzione? 

Fai questa domanda proprio nel momento in cui gli Stati Uniti sembrano essere già autodistrutti!  Parlo ovviamente di Kavanaugh e il casino che Trump ha fatto per mettere la sua cattiva scelta sulla Corte suprema…ma potrei anche parlare di tutta la presidenza di Trump che è una vera vergogna e che, alla fine, porterà alla rovina il nostro paese per anni…e non solo noi.

La letteratura come salvezza?  Per me la sfida e’ questa: uno deve continuare a vivere, anche in momenti come questi, in un modo sveglio, conscio, premuroso, e responsabile.  Dove possiamo nutrire i nostri cuori ed i nostri cervelli se non con i romanzi e la poesia?

E’ prevista una rielaborazione cinematografica per una serie televisiva dei  I formidabili Frank. Parteciperai alla sceneggiatura e a tratteggiare il carattere della zia Hank?

E’ prevista, sì!  E mi sento molto fortunato, anche se il percorso è lungo.  Ho già scritto la prima puntata, ed e’ stata un’esperienza molto positiva, perchè ho potuto tornare alla mia storia con più libertà.  Nel memoir, ovviamente, ho cercato di essere il più fedele possibile e di raccontare tutto quello che e’ successo con la massima cura.  Col copione ho potuto inventare, o immaginare, alcuni momenti che sarebbero potuti succedere. E’ una grande liberazione e penso che, alla fine, ne verrà fuori un ritratto della zia  ancora più dinamico.

Nell’epoca della globalizzazione e dei reality show, cosa significa per uno scrittore, aver avuto dei riferimenti letterari e cinematografici che si collocano inevitabilmente nel Novecento?

Vuol dire non perdere di vista da dove proveniamo!   Una cosa fondamentale.

Dopo questo successo di vendita e di critica, c’è un progetto per un prossimo libro? Forse completamente diverso? Cosa consigli a un giovane che vuole scrivere? Viaggiare, leggere, studiare, cambiare paese?

Si’ certo!  Ho appena consegnato alla mia casa editrice americana un romanzo che avevo iniziato prima dei Formidabili.  Ci sono tornato dopo la pubblicazione del memoir e ho trovato la soluzione ad alcuni problemi che prima non riuscivo a risolvere.  E’ un romanzo, quindi e’ molto diverso come libro e storia, ma c’è sempre un’ossessione con la famiglia, con l’identità, e con i misteri del passato.

A un giovane che vuole scrivere: leggere tutto e scrivere tutti giorni.  Scrivere è meraviglioso per 10 percento; gli altri novanta percento è  fatica vera. Ma vale la pena
–sempre!

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